· Città del Vaticano ·

Ruffini e Mentana a Fermo per il Festival della Comunicazione

Alfabetizzazione digitale
per affrontare la sfida dell’Ia

 Alfabetizzazione  digitale per affrontare la sfida dell’Ia   QUO-125
31 maggio 2025

di Alessandro Di Bussolo

È indispensabile un’alfabetizzazione per tutti «delle nuove tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, per acquisire gli strumenti necessari a leggere la grande varietà di informazioni che oggi sono a nostra disposizione» e non esserne schiacciati.

È la prima delle sfide della comunicazione sociale per Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che il 30 maggio scorso è intervenuto al dibattito di apertura del Festival della Comunicazione 2025. Un evento promosso dai Paolini e dalle Paoline, organizzato dall’arcidiocesi di Fermo attraverso l’Ufficio diocesano delle Comunicazioni Sociali, che terminerà il prossimo 8 giugno. Ruffini ha dialogato con Enrico Mentana direttore del Tg La7, collegato online, dalla Sala Pertini (ex mercato coperto) della città marchigiana, scelta dagli organizzatori come sede della ventesima edizione di un Festival, che quest’anno ha come tema «Accendiamo la Speranza. Una diversa comunicazione è possibile».

Le tracce del confronto, sul tema «Tra comunicazione e informazione», come di tutto l’evento, sono il messaggio di Papa Francesco per la 59ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2025; il suo discorso, quello a braccio e quello scritto, per il Giubileo dei comunicatori del 25 gennaio di quest'anno e l’udienza di Papa Leone XIV ai giornalisti del 12 maggio.

Il prefetto del Dicastero per la Comunicazione ha indicato che è necessario «un pensiero sulla comunicazione che non sia limitato a quello dei giornalisti» perché la comunicazione non è mai stata solo giornalistica, anche artistica, ad esempio. Di Francesco ha ricordato le parole a braccio del 25 gennaio: «Comunicare è uscire un po’ di sé stessi, per dare del mio all’altro e la comunicazione non solo è l’uscita ma anche l’incontro con l’altro».

Così ha messo in guardia dalla tentazione del narcisismo, dal dare «noi agli altri invece di raccontare quello che è fuori da noi».

E ci ha chiesto di riflettere sulla verità: «Ma tu sei vero? Non solo le cose che tu dici. Ma tu, nel tuo interiore, sei vero?». In un’era di comunicazione spettacolo, si è domandato Ruffini, siamo davvero noi stessi, o cerchiamo solo l’ascolto?

Toccando il tema del messaggio di Francesco per la Giornata delle Comunicazioni: «Condividete con mitezza la speranza che è in voi», il prefetto ha sottolineato che uno dei peccati commessi dai giornalisti nella storia è quello «di preferire un titolo accattivante, credendo che questo ci faccia fare più ascolti. Ma essere accattivanti, dalla radice della parola , forse ci rende più cattivi, e incapaci di vedere le ragioni dell’altro». Una buona comunicazione mite, che conduca alla speranza, ci dice Papa Leone XIV è “disarmata e disarmante”, non “armata” della verità. Lo diceva già san Giovanni Paolo II: sappiamo quanto è difficile possedere la verità, «e quindi non è corretta usarla come arma».

«Un buon giornalista deve vedere il male — ha concluso Ruffini nella prima parte del dibattito — ma per vederlo non deve farne parte, e vedere che nel male ci può essere anche una possibilità di cambiamento». Papa Leone ci ha detto «una cosa molto bella, non accontentarsi mai della mediocrità». Per questo è ridicolo «pensare che non dobbiamo usare le tecnologie del nostro tempo» ma dobbiamo «trovare una nostra dimensione nella tecnologia». Tenendo presente che l’amore «è il più grande mezzo di comunicazione della realtà, e non è una affermazione sdolcinata». Siamo di fronte ad un’accelerazione verticale della tecnologia, e avremmo bisogno «di filosofi ed educazione e di dare regole anche all’economia digitale. Gli algoritmi li scrivono gli uomini, e li chi controlla? Tutto questo va governato secondo un’etica, che non può essere decisa da un dittatore».

Sulla necessità di nuove regole per tutti i sistemi di comunicazione ha concordato Enrico Mentana. Non sappiamo, ha detto, quel sarà l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, e quindi non sappiamo «se sarà al nostro servizio. Può dischiudere la strada a situazioni pericolosissime per la convivenza umana». Ha sottolineato il rischio di «modificare la storia, con l’utilizzo malevolo dell’intelligenza artificiale. E a controllarla non devono essere gli inventori. Non possiamo lasciare agli uomini degli algoritmi questo controllo». Il giornalista ha poi invitato tutte le istituzioni, anche religiose, «a confrontarsi con l’ iper-comunicazione», e con la comunicazione dei social che appiattisce tutto.