In questi diciassette anni della mia vita negli Stati Uniti d’America – vita familiare, ecclesiale, e universitaria – la cosa che ha arricchito, ma ha anche sfidato di più le mie abitudini mentali e le mie aspettative è stata la presenza e il contributo delle donne e il modo – più radicale rispetto all’Europa cattolica - in cui questo contributo si presenta. Non è qualcosa che potesse naturalmente portare con sé dall’Italia uno studioso cattolico della mia generazione.
Ho potuto vedere questo contributo fontale e originale dalle mie colleghe docenti di teologia e scienze religiose in una università cattolica, ma anche dalle studentesse. La maggior parte seguono i nostri corsi come corsi obbligatori per potersi laureare in qualsiasi disciplina in una università cattolica. Questa obbligatorietà dei corsi di teologia significa studentesse potenzialmente meno interessate alla materia. Ma significa anche poter ascoltare e leggere, da loro, un più vasto spettro di esperienze e percezioni del cattolicesimo negli Stati Uniti.
La teologia vissuta che ho imparato dalle studentesse non è meno importante di quella che ho imparato dalle mie colleghe e dalle teologhe che le hanno formate. La questione del ruolo della donna nella chiesa è, ai loro occhi, la questione numero uno, perché rivela, in un modo rivelatore come nessun altro, il potenziale di differenza di cui la chiesa è capace, in potenza ma non sempre in atto, rispetto al sistema economico e culturale di massa. Aveva dato una risposta a questo Francesco nella sua ultima enciclica, Dilexit nos, quando aveva parlato della necessità che “tutte le azioni siano poste sotto il ‘dominio politico’ del cuore”.
La teologia delle donne non è più soltanto una questione di impostazioni liberali o progressiste, ma della capacità della chiesa di rispondere alle nuove rivoluzioni – anche a quella industriale, come ha detto papa Leone XIV nel discorso del 10 maggio ai cardinali. La teologia delle donne si sviluppa non a caso con particolare energia in un paese plasmato, fin dalla sua fondazione, da una visione dei rapporti sociali come crudi rapporti di forza: tra popoli ed etnie, tra classi sociali, ma anche tra uomini e donne. Questo tratto dell’America lo si può studiare sui libri, ma lo si vede anche negli occhi di giovani donne che sanno che il loro futuro è determinato, per loro più che per gli uomini, da quei rapporti di forza.
di Massimo Faggioli
Professore nel dipartimento di teologia, Villanova University (Philadelphia, Usa)