· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Come Rosemary Nyirumbe salva le ex bambine-soldato

Ricucire anima e corpo

 Ricucire anima e corpo  DCM-006
07 giugno 2025

Raffinati ricami o pezzi di stoffa rammendati, abiti di alta moda o grembiuli da cucina, non importa. Ciò che conta è infilare un punto dietro l’altro, dare ritmo al pedale della vecchia Singer e al fluire del respiro, che impercettibilmente rallenta, allontanando il ricordo dell’orrore, delle ferite che segnano il corpo e devastano la mente.

Unire bordi e ricucire ferite: potrebbe essere questo lo slogan che accompagna la missione di suor Rosemary Nyirumbe. Religiosa della congregazione del Sacro cuore di Gesù, ostetrica, laurea e master in etica e sociologia dello sviluppo, agli inizi degli anni Duemila ha dato vita al centro Santa Monica, in Uganda, salvando migliaia di ragazzine, rapite e schiavizzate dai ribelli del Lord’s Resistance Army, Lra. Numerosi i riconoscimenti internazionali: Time nel 2014 l’ha celebrata come una delle 100 donne più influenti del mondo, lo stesso anno ha ricevuto il Premio Women Impact dell’Onu, per la Cnn è stata l’eroe dell’anno nel 2007. L’hanno chiamata la Madre Teresa d’Africa. Lei, 69 anni di energia e determinazione in un metro e sessanta di altezza, ama la parola semplice, resa efficace dall’azione. «Camminare nella speranza, nel corso della mia vita, ha sempre significato andare verso le persone vulnerabili, entrare nel loro dolore cercando di indossare i loro panni. Provo a dare speranza in modo molto pratico, aiutandole. Senza parlare di Dio: il solo fatto di esserci testimonia la mia fede in Dio, che si prende cura di tutti», dice suor Rosemary. Nella sua biografia (Rosemary Nyirumbe, Cucire la speranza. La donna che ridà dignità alle bambine soldato, pubblicata da Emi) la religiosa racconta la situazione che ha dato il sigillo alla sua vocazione. «I soldati dell’Lra rapirono migliaia di minori – secondo alcune stime fino a 30.000 – dalle scuole e dalle case, uccidendo le loro famiglie e i loro insegnanti e obbligandoli a combattere. Ai ragazzi veniva ordinato di stuprare e uccidere; le ragazze, alcune delle quali appena entrate nel periodo della pubertà, venivano portate nella foresta, usate come schiave sessuali e messe incinte da uomini molto più vecchi di loro. Le labbra dalle quali uscivano proteste o lamenti erano chiuse con un lucchetto o mozzate. I lobi delle orecchie e i nasi venivano strappati, le mani tagliate dal polso con un colpo di panga, un lungo e affilato machete. I prigionieri che cercavano di scappare o che si rifiutavano di eseguire l’ordine di uccidere i loro stessi familiari venivano giustiziati con un colpo di pistola».

La strada di suor Rosemary ha incrociato migliaia di queste donne. «La speranza per loro è stato qualcuno che le ha capite. Incontrandole ho sentito perfettamente quanto fossero distrutte e per di più emarginate. Le abbiamo abbracciate, accettate così come sono: la vita che era stata loro rubata, poteva essere ricostruita. Per questo parlo sempre di cucire, di riparare le rotture. La macchina da cucire, dico “è esattamente l’opposto delle mitragliatrici con cui vi hanno insegnato a distruggere la vita”».

Mettere su la scuola di cucito, poi un’attività di catering, quindi un centro diurno per i bambini, i figli delle violenze, moltiplicare le sedi per le tante richieste, trovare benefattori e aiuti non è stato facile. Senza contare la paura. «I momenti più difficili della mia vita sono stati quelli in cui ho temuto di incontrare i ribelli faccia a faccia. Mi sono chiesta: “Riuscirò a vedere il giorno dopo?” Era esattamente la stessa paura di queste donne. Così ho capito cosa significava vivere e perdere la speranza. Ho fatto immediatamente una semplice preghiera: “Dio, se arriverà il momento in cui dovrò incontrare questi ribelli, fa' che io li rispetti e che loro rispettino me. Così potranno vedere il tuo volto in me. E voglio anche vedere il tuo volto in loro”. Voglio che capiscano che sono pronta ad accettare anche loro».

Ed è quello che effettivamente accade un giorno. «Un ribelle era nascosto nella nostra cucina. Io ero completamente bloccata. Ma ho dovuto prendere coraggio e chiedergli: “Per favore, cosa ci fai qui? Puoi andartene? Perché se altri soldati vengono e ti trovano, penseranno che sono una collaborazionista e ci uccideranno entrambi”. Gliel’ho detto con gentilezza, non l’ho pianificato, è venuto in automatico. È andato via, e poi è tornato dopo cinque minuti e mi ha detto: “Non voglio lasciarti nei guai”. Ha tolto tutti i proiettili che aveva nascosto in cucina».

Tra le migliaia di donne che ha incontrato alcune l’hanno toccata particolarmente. «La prima è una ragazza che condivideva una camera con un’amica. Un giorno mi ha detto: “Sorella, mi sento male a dividere la stanza con quella ragazza, perché ho scoperto che quando eravamo in prigionia, sono stata una di quelle che ha ucciso i suoi genitori. Lei non mi conosce, ma io ora lo so, mi sento molto in colpa”. Le ho detto di parlarle, non aveva colpa per quello che le avevano costrette a fare. “Ora vivete insieme. Lei ti prende come una sorella e tu la aiuti a prendersi cura del suo bambino. Perdona e continua”».

I progetti della religiosa hanno avuto una risonanza internazionale, e suor Rosemary ha incontrato anche tante donne occidentali. «Erano diverse dalle donne dell'Uganda, ma avevano bisogno anche loro di rinascere. Hanno apprezzata il fatto che sono me stessa, non fingo di essere una persona diversa. Vivo la mia vita, molte non sanno che ho un certo livello di istruzione, non mi interessa. Voglio essere un esempio con la mia speranza, la preghiera e con i progetti di promozione delle donne».

La forza e la semplicità di questa piccola grande donna l’ha resa credibile agli occhi delle donne violate e riscattate attraverso il lavoro; dei guerriglieri, che l’hanno lasciata in pace e non hanno attaccato le scuole; degli studenti, dell’Oklahoma come di altre università, che seguono i suoi seminari sulle imprese e cooperative - , dalle borse, agli abiti, al catering – che danno lavoro e dignità alle donne africane; e anche delle benefattrici americane, che nei suoi progetti hanno trovato un seme di speranza per l’umanità e un senso più profondo alle loro esistenze.

Alla fine dell’autobiografia suor Rosemary dice che non bisogna mai smettere di sognare. Cosa spera per il suo futuro? «Oggi sogno di aiutare i bambini anche in Sud Sudan, dove abbiamo avviato un programma di alimentazione e dove portiamo le arachidi che coltiviamo in Uganda. Voglio che in Uganda, le donne, la gente, partecipi alla coltivazione: è un modo per dare lavoro ed educare a combattere la malnutrizione. Non voglio grandi sogni, che di solito non possono essere realizzati. Mi piace che le persone sognino in piccolo e mettano in pratica ciò che sognano».

E per la Chiesa? «Quello che diceva papa Francesco: portare i poveri al centro della nostra vita. Spero che la nostra Chiesa diventi più semplice, più povera. E che accolga tutti senza giudicare».

di Vittoria Prisciandaro
Giornalista «Credere» e «Jesus» Periodici San Paolo

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