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DONNE CHIESA MONDO

Carmen Yáñez: la memoria è un’arma di giustizia

Ricordare è resistere

 Ricordare è resistere  DCM-006
07 giugno 2025

Carmen Yáñez, come si sopravvive all'inferno? Con l’unica convinzione di avere la ragione e la verità come principio etico. Solo c’è bisogno di avere lo sguardo e l'atteggiamento di un essere umano che prova empatia verso i propri simili.

Nel 1975 lei è stata incarcerata e torturata nelle prigioni di Pinochet, poi nel 1981 ha dovuto lasciare il Cile, affrontando nuovi dolori e sofferenze. Come ha vissuto lo strappo dal suo Paese, dai suoi affetti, dalla sua famiglia?

L'esilio è un effetto collaterale della sofferenza di un popolo che deve emigrare, deve rinunciare a ogni vita e a ogni progetto futuro, senza un terreno sotto i piedi. Si tratta di una nuova costruzione di sé non priva di incertezza.

Da allora ha condiviso la sorte dell'emigrante e la condizione dell'esule. Il suo viaggio da emigrante, il suo esilio, è mai finito?

L'ho vissuto intensamente, nel mio caso si è trattato anche di imparare nuovi codici e una nuova lingua. Credo che il viaggio non finisca mai, comunque cerco di costruire la mia casa ovunque mi trovi.

Ha mai perso la speranza? Se sì, quando?

Sì, quando si perde una persona cara senza preavviso, quando il dolore di quella perdita è straziante. Poi, a poco a poco ti rialzi per ricostruirti e ricominciare.

A quale speranza si è aggrappata quando ha visto tutto nero?

La vita mi ha sempre portato fuori dall'oscurità, la mia, quella della mia prole (figli, nipoti).

Cosa prova nei confronti dei suoi aguzzini?

Non provo odio, l'odio ritorna all'essere che odia, non provo nemmeno pietà. Sì, credo nella giustizia, credo che tutti dovrebbero pagare per i loro crimini. Io non sarei capace di fare quello che essi hanno fatto ai loro prigionieri. Una punizione sufficiente è privarli della libertà, perché erano e sono un pericolo pubblico. Non c'è perdono, non c’è oblio: è il mio motto e quello di tutti quelli della mia generazione che hanno sofferto sotto le dittature.

Anche suo marito, Luis Sepúlveda, ha vissuto la stessa esperienza: prigione ed esilio dopo il colpo di stato del 1973 contro Salvador Allende. Entrambi avete continuato a lottare per la giustizia sociale, dove avete preso la forza e il coraggio?

Perché siamo sempre stati convinti che i beni della natura di questo mondo debbano appartenere a tutti gli esseri di questo mondo. La disuguaglianza ha portato solo tristezza, delusione, miseria e drammi umani.

Quali sono oggi i maggiori rischi per il pianeta e l’umanità?

L'ambizione, la ingordigia di alcuni esseri umani spietati e narcisisti che rendono questo mondo ineguale. Loro sono i proprietari, il resto sono pecore consumiste. Il cambiamento climatico è evidente in diverse parti del pianeta. Stiamo assistendo al più grande crimine dell’umanità, ma il Potere non pone un freno a questo disastro.

A quali speranze dobbiamo e possiamo aggrapparci?

La mia speranza è che gli esseri umani trovino equilibrio, gentilezza, valori etici, empatia verso i loro simili, saggezza.

Quali sono le sue paure personali?

Sono attenta alla mia famiglia, ai miei amici, mi prendo cura di loro, anche se vivono lontano da me.

E le sue speranze?

Un futuro senza paura.

La sua vita, i suoi amori, le sue speranze, la sua nostalgia per il suo paese emergono nelle poesie. Come ne è intrisa la sua vita quotidiana?

Io volevo dare voce a chi come me è emigrato alla ricerca di un posto nel mondo dove sopravvivere.

Attraverso le parole e la memoria si apre uno spiraglio di salvezza?

Senza memoria, senza storia siamo condannati a ripetere gli errori. Solo la memoria storica ci svela il futuro ipotetico della terra.

Come costruisce la speranza, per se stessa e per gli altri?

Con la mia unica arma, la parola.

La memoria è un’arma di giustizia?

Una potente arma di giustizia.

Ha detto che per lei e Luis Sepúlveda la letteratura è stata la vostra successiva patria. Ma c’è qualcosa che vi è mancato in questa seconda patria?

A volte noi migranti sentiamo di non appartenere a nessun posto. Siamo diventati cittadini del mondo, universali. Di nessuna parte e di ogni dove. Ci mancano forse il senso di appartenenza, gli amici d'infanzia, i luoghi fisici in cui abbiamo iniziato il viaggio della vita.

Che potere può avere oggi la letteratura per promuovere la consapevolezza dei rischi e risvegliare la speranza?

La letteratura è un’enorme finestra per osservare il mondo e imparare a conoscerlo. La storia che non viene raccontata ufficialmente. La memoria aperta.

Juan Belmonte è il protagonista del libro «Il nome di un torero» di Sepúlveda. Appare come un uomo che, dopo aver combattuto tante battaglie, si sente disilluso e restio a scendere in campo. Perché secondo lei?

Juan Belmonte è un personaggio che ha perso piccole e grandi battaglie, è un perdente, ma sempre ci riprova, perché la sua voglia di giustizia è superiore alla paura di perdere ancora.

Belmonte è Sepúlveda stesso in certi momenti della sua vita?

Molti scrittori sono soliti prestare un po' della loro biografia alla costruzione dei loro personaggi, così come i sentimenti ritratti nella storia, con una buona dose di finzione.

E Veronica, la moglie che nel libro non si è mai ripresa dalle torture della dittatura, è lei?

Sì, in parte, ma descrive anche una donna completamente distrutta, vittima di tortura. Nel mio caso sono riuscita a superare quell’episodio.

Lei e Sepúlveda avete mai sentito il peso della testimonianza, di dover raccontare?

Non è facile, è un peso che porteremo sempre. Sono stata molti anni senza parlarne. Immagino che a Luis sia successa la stessa cosa. C'erano paura e vergogna nel raccontarlo. È una lacrima profonda.

Pensa, come scrive Sepulveda, che «L’ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione»?

Siamo fatti di ciò che eravamo, quella storia non possiamo cambiarla, dobbiamo accettarla e da lì vivere fino alla fine coerentemente con ciò che siamo oggi.

Consigli tre libri da leggere per alimentare la memoria e la speranza

Recentemente ho ricevuto un libro di uno scrittore uruguaiano che consiglierei: «Las Cenizas del Cóndor» di Fernando Butazzoni. Racconta in parte la storia della nostra America Latina colpita dai colpi di stato degli anni Settanta. Sotto la copertura del sinistro piano di tortura e sterminio “Il piano Condor” che ci ha lasciato tanta desolazione. Tuttavia, questo libro continua ad aprire spiragli di speranza. Crediamo negli esseri umani che siamo.

L’altro è «Look Back» dello scrittore colombiano Juan Gabriel Vásquez, basato su fatti realmente accaduti sui rapporti tra genitori e figli segnati da idee politiche e fanatismo.

Il terzo è «La guerra perdida» dello scrittore messicano Jordi Soler. La storia di una famiglia di esuli di origine catalana. Il loro viaggio pericoloso. Le perdite e il modo in cui sopravvivono nel cuore della giungla, aspettando la caduta del dittatore che li ha strappati dalle loro radici.

di Lucia Capuzzi
Giornalista «Avvenire»

 

Si ringrazia Daniel Mordzinski per la gentile concessione dell’uso, per questo articolo, della fotografia che ritrae Carmen Yáñez e Luis Sepúlveda.


La più bella storia d’amore


Carmen Yáñez e Luis Sepúlveda sono due figure simbolo della lotta contro le dittature sudamericane, e del mondo. Entrambi furono perseguitati dal regime di Pinochet in Cile: Luis fu imprigionato e torturato subito dopo il golpe del 1973, scarcerato grazie alle forti pressioni di Amnesty International e poi esiliato; Carmen fu arrestata nel 1975, torturata e anche lei costretta all'esilio. 

La loro è stata una unione profonda tanto personale quanto politica. Si sono sposati due volte: la prima giovanissimi nel 1971, e l’anno successivo nacque Carlos. La seconda nel 2004 dopo che la vita li aveva divisi e  fatti ritrovare perché l’amore non era finito.

Per Carmen Yáñez, la poesia è stata uno strumento di memoria e resistenza, mentre per Luis Sepúlveda (scomparso a 70 anni nel 2020, a causa del Covid) la letteratura è diventata il mezzo per raccontare le ingiustizie e le sofferenze. Insieme, hanno costruito una seconda patria fatta di parole e di speranza, sempre convinti che la memoria e la giustizia siano le chiavi per un futuro migliore.