La luce del perdono

di Isabella Piro
Il martirio di suor Christophora Klomfass e delle sue quattordici compagne «ci insegna il coraggio necessario per superare le difficoltà, ci insegna ad andare incontro con misericordia a chi è nel bisogno e a confidare in Dio fino alla fine»: ai media vaticani, suor Łucja Jarworska, postulatrice della causa di beatificazione, descrive così l’eredità spirituale delle quindici religiose della congregazione di Santa Caterina Vergine e Martire che domani, sabato 31 maggio, saranno beatificate a Braniewo, in Polonia. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi e rappresentante del Papa, alle 11 nella piazza antistante la basilica intitolata proprio a Santa Caterina.
Le quindici suore morirono tutte nel 1945, durante l’invasione sovietica in Polonia. La prima fu Christophora Klomfass, uccisa il 21 gennaio 1945, quando non aveva ancora compiuto 42 anni. Una settimana dopo, il 27 gennaio, le consorelle Sekundina Rautenberg e Adelgard Bönigk furono catturate dai militari russi, i rosari che portavano legati in vita furono attaccati a un’automobile e così furono trascinate per le strade di Rastenburg (oggi Kętrzyn), finché non spirarono.
Violenze, maltrattamenti, marce forzate e ferite letali spezzarono le vite delle altre consorelle: Mauritia Margenfeld fu catturata dall’Armata Rossa ad Allestein, venne abusata ripetutamente dai soldati e poi condotta in marcia forzata sino a Praschnitz (oggi Przasnysz), per essere costretta il giorno successivo a raggiungere, sempre a piedi, Zichenau (oggi Ciechanów), distante 27 km. Da qui, fu deportata a Tula dove si prese cura dei malati di tifo. Morì per i maltrattamenti subiti il 7 aprile.
L’ultima in ordine cronologico a spegnersi fu Saveria Rohwedder, il 25 novembre, per le percosse inflittele da un soldato russo che si scagliò contro di lei solo perché indossava l’abito religioso. Mentre veniva colpita senza pietà, disse al suo aguzzino: «Io ti perdono».
L’insegnamento che queste religiose hanno lasciato al mondo, continua suor Jarworska, è quello di «amare il prossimo e sentirsi amati, andare con speranza verso il futuro e dimostrare che Cristo è la nostra unica felicità sulla Terra».
«Le loro vite virtuose e il loro coraggio eroico nella difesa della fede e della purezza promessa a Dio — aggiunge la postulatrice — sono per il mondo un modello di sequela di Gesù Cristo, il valore più alto della nostra vita».
Nella Polonia invasa dai sovietici, le quindici future beate scelsero di restare fedeli al Signore anche nella carità: non abbandonarono gli ammalati, i bambini e gli orfani di cui si prendevano cura, secondo il carisma della congregazione di Santa Caterina, ma rimasero al loro posto. «Questo è un altro insegnamento offerto a noi — sottolinea suor Mary Lembo, religiosa del medesimo Istituto —: difendere la vita e la dignità delle persone con coraggio e perseveranza, nonché con la forza del perdono». Tutto questo, prosegue la suora, è «un esempio luminoso per i tempi di oggi, in cui sembrano predominare guerre, conflitti e difficoltà» di ogni genere.
Ai militari sovietici non bastò infliggere violenze e morte alle quindici suore: in molti casi, si accanirono strappando loro veli, rosari, immaginette sacre e, soprattutto, oltraggiando quasi sempre il loro abito con tagli e lacerazioni. «Si trattò di un vero e proprio odium fidei — insiste suor Lembo —: in alcuni militari russi, la vista di una veste religiosa scatenava una rabbia terribile».
Lembo si sofferma infine sul carisma della congregazione di Santa Caterina, istituita dalla beata Regina Protmann nel 1583 a Braniewo: «La nostra fondatrice aveva come motto “Cercare in ogni cosa la volontà di Dio”, perché la comunione con il Signore ci porta a vedere il Suo volto in ogni fratello e in ogni sorella. Questa spiritualità, questo carisma si concretizzava non solo nella cura e nell’assistenza dei malati e delle persone anziane, ma anche nell’educazione dei giovani che non avevano la possibilità o i mezzi necessari per frequentare le scuole». Le quindici prossime beate, conclude, «hanno incarnato questa spiritualità nella preghiera costante e nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, così come nel rifiutare di proteggere la propria vita, scegliendo invece di difendere il prossimo. Nei volti delle persone che, impaurite dall’invasione sovietica, cercavano un rifugio, le quindici religiose non si sono allontanate, ma hanno deciso di restare insieme a loro».