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La storia di Faburama Ceesay, migrante del Gambia che in Sicilia gestisce una sartoria sociale

Un futuro da tessere insieme

 Un futuro da tessere insieme     QUO-122
27 maggio 2025

Il Gambia è il più piccolo Paese del continente africano. Come un lombrico si insinua dall’Oceano Atlantico nel cuore del Senegal e ha una popolazione di 2,7 milioni di abitanti. È un Paese ricco di bellezza, umanità, baciato da una natura rigogliosa e affacciato su una costa atlantica mozzafiato. Ma è uno dei luoghi più impoveriti della terra, strozzato da un debito pari al 32,3% del suo reddito nazionale, con un Indice di sviluppo umano tra i più bassi (è 174° su 193 Paesi) e un alto tasso di povertà (oltre il 53%).

Dietro questa storia difficile ci sono secoli di schiavismo (sul fiume Gambia sorge Kunta Kinteh Island, l’isolotto che prende il nome dal protagonista di Radici, presumibilmente sequestrato in queste terre a metà del 1700, su cui sono stati concentrati milioni di schiavi prima di essere imbarcati per l’America) e colonialismo, oltre a un ventennio di dittatura di Yahya Jammeh (1997-2017). Da qui, fuggono tantissimi ragazzini, e si avventurano in drammatici viaggi verso l’Europaper cercare un futuro migliore. Uno di questi è Faburama Ceesay.

«Sono andato via a 16 anni — spiega — senza neanche avvertire i miei genitori che non me lo avrebbero permesso. Ho fatto un viaggio terribile, ho subìto torture e rischiato la morte nei i passaggi in Mali, Burkina-Faso, Niger, e Libia». Faburama è arrivato a Messina un anno e tanta disperazione dopo. Aveva una situazione molto problematica in famiglia e, poco più che bambino, se ne è fatto carico ma è partito portando con sé, oltre a determinazione e voglia di sostenere i suoi cari, anche un sogno. «Mia mamma mi mandava fin da bambino — riprende — nella bottega di un sarto vicino a casa nostra: veniva dal Senegal e aveva uno stile unico, capace di unire tante culture. Ero affascinato dai tessuti che trasformava, dal frusciare delle stoffe e dai colori e cominciai a tagliare e cucire che non avevo neanche otto anni».

Adesso Faburama di anni ne ha trenta. Vive in provincia di Messina assieme a sua moglie Marica e a due figli; da cinque anni gestisce “Kanösartoria sociale” una start-up di moda, con un negozio a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), che confeziona capi originali utilizzando i tessuti wax o ciup (tipici del Gambia) ma anche canapa, bambù, cotone, lino. Oltre ad abiti che intercettano alla perfezione le tradizioni stilistiche di Africa ed Europa, Kanö produce accessori, oggettistica per la casa, articoli di cancelleria, giochi per bambini e bomboniere.

Ora Kanö, affiliata alla Rete delle sartorie sociali italiane, esporta in tutta Italia e all’estero. Il piccolo laboratorio di moda, artigianato e arte, si pone inoltre quale polo di formazione e inclusione per giovani italiani e con background migratorio. Ma il successo raggiunto non ha fatto dimenticare a Faburama le proprie origini. «Quanti ragazzi come me — spiega il sarto — hanno sogni che non riusciranno mai a realizzare o sono costretti ad affrontare viaggi pericolosissimi a rischio della propria vita? Non mi dimentico del mio Paese e voglio dare un mio contributo al suo sviluppo. Soprattutto vorrei evitare che tanti ragazzi siano costretti a rischiare la vita per costruirsi un futuro». Assieme a sua moglie, quindi, ha dato vita a Kanö Gambia Taylor, un progetto di formazione per giovani sarti in Gambia «perché abbiano un’occasione di riscatto nel proprio Paese, lo stesso che ho avuto io qui in Italia». Kanö Gambia Taylor punta a creare una scuola per giovani sarti e dotarli di strumenti e metodologie per la crescita professionale, personale e collettiva nel tessuto artistico-culturale del Gambia. Sul terreno acquistato dalla coppia nel villaggio di Sanyang, nella zona occidentale del piccolo Paese, molto vicino alla costa, sorgerà la scuola e, accanto, locali di ricezione alberghiera, per favorire l’accoglienza di turismo sostenibile. Kanö Gambia Taylor includerà un asilo nido per i figli dei sarti in formazione.

È un progetto affascinante, caratterizzato da una sorta di migrazione di ritorno che restituisce all’Africa quanto imparato in Europa e da un desiderio di sostenere la crescita del proprio Paese d’origine. La campagna di crowdfunding lanciata dalla sartoria siculo-gambiana sta coinvolgendo tanti. «Seguo Kanö sartoria sociale da sempre — spiega padre Andrea Cardile, medico, fondatore dell’Associazione Walking Togheter — sono stato tra i primi clienti e partecipo attivamente alle iniziative che propongono. Tra le realtà più belle e comunicative del messinese, esprime famiglia, speranza, inclusione e Kanö, che in mandinka, significa Amore». (luca attanasio)