· Città del Vaticano ·

L’impegno della Chiesa per la tutela dei diritti nelle miniere di cobalto della Repubblica Democratica del Congo

Gli schiavi di Kolwezi

Artisanal miners carry sacks of ore at the Shabara artisanal mine near Kolwezi on October 12, 2022. ...
23 maggio 2025

di Ilaria De Bonis

Nel profondo sud-ovest della Repubblica Democratica del Congo, esattamente nella provincia di Lualaba (ex Katanga) c’è una città che da sola alimenta l’economia mondiale dei dispositivi elettrici. La città si chiama Kolwezi, un tempo ricoperta di foreste, oggi sede di circa un quarto di tutte le riserve mondiali di cobalto. È la città più schiavizzata del pianeta: un’intera popolazione di poveri, quasi tutti gli 800.000 abitanti (compresi i bambini) sono “impiegati” nei siti minerari.

Il terreno a Kolwezi è fatto di crateri dove non cresce niente: «I villaggi sono stati rasi al suolo, le foreste sono state rase al suolo e la terra è stata scavata e tagliuzzata», scrive il giornalista Siddharth Kara in “Rosso Cobalto”. Ma proprio in questo far west dei predatori la Chiesa cattolica accende i riflettori sui diritti. «La Commissione diocesana delle risorse naturali è una struttura che contribuisce al risveglio delle comunità affinché prendano coscienza dei propri diritti e delle proprie responsabilità», ci spiega al telefono da Kolwezi il presidente Henri Kasongo. «Il nostro ruolo è aiutare le famiglie di chi lavora in miniera a rivendicare i propri diritti, previsti peraltro dal Codice affinché i ricavi delle estrazioni minerarie contribuiscano allo sviluppo delle comunità».

È un’impresa titanica quella della Diocesi: si combatte spesso contro i mulini a vento perché le decine e decine di siti minerari di proprietà di compagnie straniere operano a margine o al di fuori della legge. Il quartiere di Kanina, a sud-ovest di Kolwezi, sorge vicino ad un’area di lavaggio del cobalto dove le donne trascorrono ore a mollo per ripulire le pietre. È di proprietà della cinese Zjin Mining. I “giganti” di Kolwezi invece sono nelle mani della Glencore che è anglo-svizzera. Nel complesso le miniere della Glencore producono oltre 23.000 tonnellate l’anno di cobalto. «Il problema sono le condizioni di vita chi ci lavora», dice Kasongo.

Le intermediazioni tra chi estrae il minerale e chi lo rivende sono infinite e il prezzo lievita. Un sacco da 40 kg di heterogenite (che contiene un 1% di cobalto) è rivenduto fuori a 4 dollari ma gli operai ne ricevono solo 2 e 80 al sacco. Per estrarre 40 kg di heterogenite servono 12 ore di lavoro. E siamo solo al primo passaggio. «Noi ci basiamo sull’osservazione della realtà che è fatta di paradossi — dice Henri Kasongo — considerata l’immensità delle ricchezze naturali e la povertà della popolazione che viene espulsa forzatamente dai territori, senza essere ricollocata altrove e non le viene dato un indennizzo o delle compensazioni, nonostante lo preveda la legge!». Persino i cosiddetti siti-modello, come quello di Chemaf in joint venture con Gecamines, a nord di Kolwezi, sono un bluff. Il giornalista Siddharth Kara spiega che le condizioni di lavoro pur se monitorate da Ong come l’americana Pact, non sono buone. Il direttore della Commissione diocesana precisa che «lo sfruttamento del rame e del cobalto a Kolwezi non è sempre illegale, ci sono molte aziende autorizzate a scavare, ma l’impatto sociale e ambientale è comunque disastroso».

Una delle differenze tra le ong e la Chiesa è che le ong operano da fuori, la Chiesa cattolica invece dall’interno. Il monitoraggio deve essere costante, conferma Henri: «Ne versino allo Stato le tasse dovute e che i soldi delle concessioni siano effettivamente usati per finanziare progetti di sviluppo», ad esempio scuole e servizi. A Kolwezi c’è di tutto: «Sia sfruttamento su larga scala sia quello artigianale». La Commissione ha anche il compito di organizzare corsi che rafforzino la sensibilità dei leader comunitari e delle imprese stesse. «Si fa lobbying a diversi livelli per creare una responsabilità d’impresa verso le popolazioni colpite», dice. Il motore del mondo economico genera condizioni di vita al limite dell’umano. Il Cobalt Institute stima che nel 2030 il mercato del cobalto raddoppierà e il 95% di questa crescita è da attribuire alle batterie delle auto e dei telefonini. Ma ci sono ancora immense riserve di litio, coltan ed heterogenite da portare in superficie: la corsa ai minerali preziosi è appena iniziata.