
Giovedì 15
Dimensione ministeriale e missionaria |
Dopo tre secoli, è bello constatare come la vostra presenza continui a portare con sé la freschezza di una ricca e vasta realtà educativa, con cui ancora, in varie parti del mondo, con entusiasmo, fedeltà e spirito di sacrificio, vi dedicate alla formazione dei giovani. |
Vorrei riflettere con voi su due aspetti della vostra storia: l’attenzione all’attualità e la dimensione ministeriale e missionaria dell’insegnamento nella comunità.
Gli inizi della vostra opera parlano molto di “attualità”.
San Giovanni Battista de La Salle cominciò rispondendo alla richiesta di aiuto di un laico, Adriano Nyel, che faticava a tenere in piedi le sue “scuole dei poveri”.
Tra gli elementi innovativi da lui introdotti in questa rivoluzione pedagogica ricordiamo l’insegnamento rivolto alle classi e non più ai singoli alunni; l’adozione, come lingua didattica, al posto del latino, del francese, accessibile a tutti; le lezioni domenicali, a cui potevano partecipare anche i giovani costretti a lavorare nei giorni feriali; il coinvolgimento delle famiglie nei percorsi scolastici, secondo il principio del “triangolo educativo”, valido ancora oggi.
Vie, strumenti e linguaggi per raggiungere i giovani |
I giovani del nostro tempo, come quelli di ogni epoca, sono un vulcano di vita, di energie, di sentimenti, di idee. Hanno però anche loro bisogno di aiuto, per far crescere in armonia tanta ricchezza e per superare ciò che, pur in modo diverso rispetto al passato, ne può ancora impedire il sano sviluppo. |
Pensiamo all’isolamento che provocano dilaganti modelli relazionali sempre più improntati a superficialità, individualismo e instabilità affettiva; alla diffusione di schemi di pensiero indeboliti dal relativismo; al prevalere di ritmi e stili di vita in cui non c’è abbastanza posto per l’ascolto, la riflessione e il dialogo, a scuola, in famiglia, a volte tra gli stessi coetanei, con la solitudine che ne deriva.
Sfide impegnative, di cui però anche noi, come san Giovanni Battista de La Salle, possiamo fare altrettanti trampolini di lancio per esplorare vie, elaborare strumenti e adottare linguaggi nuovi, con cui continuare a toccare il cuore degli allievi, aiutandoli e spronandoli ad affrontare con coraggio ogni ostacolo per dare nella vita il meglio di sé, secondo i disegni di Dio.
L’educazione aiuta a dare |
Vorrei accennare a un altro aspetto della realtà lasalliana: la docenza vissuta come ministero e missione, come consacrazione nella Chiesa. |
Il carisma della scuola, che voi abbracciate con il quarto voto di insegnamento, oltre che un servizio alla società e una preziosa opera di carità, appare ancora oggi come una delle esplicitazioni più belle ed eloquenti di quel munus sacerdotale, profetico e regale che tutti abbiamo ricevuto nel Battesimo.
(Ai Fratelli delle Scuole Cristiane )
Venerdì 16
Pace, giustizia e verità |
Nel nostro dialogo, vorrei che prevalesse sempre il senso di essere famiglia — la comunità diplomatica rappresenta infatti l’intera famiglia dei popoli —, che condivide le gioie e i dolori della vita e i valori umani e spirituali che la animano. |
Oltre che ad essere il segno concreto dell’attenzione dei vostri Paesi per la Sede Apostolica, la vostra presenza oggi è per me un dono, che consente di rinnovarvi l’aspirazione della Chiesa — e mia personale — di raggiungere e abbracciare ogni popolo e ogni singola persona di questa terra, desiderosa e bisognosa di verità, di giustizia e di pace!
In un certo senso, la mia stessa esperienza di vita, sviluppatasi tra Nord America, Sud America ed Europa, è rappresentativa di questa aspirazione a travalicare i confini per incontrare persone e culture diverse.
Nel nostro dialogo vorrei che tenessimo presente tre parole-chiave, che costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e del lavoro della diplomazia della Santa Sede.
Il primo dono |
La prima parola è pace. Troppe volte la consideriamo una parola “negativa”, ossia come mera assenza di guerra e di conflitto. |
La pace allora sembra una semplice tregua, un momento di riposo tra una contesa e l’altra, poiché, per quanto ci si sforzi, le tensioni sono sempre presenti, un po’ come la brace che cova sotto la cenere, pronta a riaccendersi in ogni momento.
Nella prospettiva cristiana — come anche in quella di altre esperienze religiose — la pace è anzitutto un dono: il primo dono di Cristo.
La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi.
In quest’ottica, ritengo fondamentale il contributo che le religioni e il dialogo interreligioso possono svolgere per favorire contesti di pace.
Volontà di |
A partire da questo lavoro, che tutti siamo chiamati a fare, si possono sradicare le premesse di ogni conflitto e di ogni distruttiva volontà di conquista. |
Ciò esige anche una sincera volontà di dialogo, animata dal desiderio di incontrarsi più che di scontrarsi.
In questa prospettiva è necessario ridare respiro alla diplomazia multilaterale e a quelle istituzioni internazionali che sono state volute e pensate anzitutto per porre rimedio alle contese che potessero insorgere in seno alla Comunità internazionale.
Occorre la volontà di smettere di produrre strumenti di distruzione e di morte.
L’impegno per la giustizia |
La seconda parola è giustizia. Perseguire la pace esige di praticare la giustizia. |
Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali.
Occorre peraltro adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società.
È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate.
Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, «società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società».
Nessuno può esimersi dal favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato.
La mia stessa storia è quella di un cittadino, discendente di immigrati, a sua volta emigrato.
Ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare sano o malato, occupato o disoccupato, in patria o in terra straniera: la sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio.
Proclamare la verità |
La terza parola è verità. Non si possono costruire relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla Comunità internazionale, senza verità. |
La Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione.
La verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna.
La verità non ci allontana, anzi ci consente di affrontare con miglior vigore le sfide del nostro tempo, come le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata Terra.
Un nuovo cammino |
Quello giubilare è un tempo di conversione e di rinnovamento e soprattutto l’occasione per lasciare alle spalle le contese e cominciare un cammino nuovo, animati dalla speranza di poter costruire, lavorando insieme, ciascuno secondo le proprie sensibilità e responsabilità, un mondo in cui ognuno possa realizzare la propria umanità nella verità, nella giustizia e nella pace. |
Mi auguro che ciò possa avvenire in tutti i contesti, a partire da quelli più provati come l’Ucraina e la Terra Santa.
(Ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede)
Sabato 17
La parola |
Il tema della vostra Conferenza — “Superare le polarizzazioni e ricostruire la governance globale: le basi etiche” — va al cuore del ruolo della Dottrina sociale della Chiesa, strumento di pace e dialogo per costruire ponti di fraternità universale. |
Avete l’opportunità di mostrare che la Dottrina Sociale della Chiesa, con il suo proprio sguardo antropologico, intende favorire un vero accesso alle questioni sociali: non vuole alzare la bandiera del possesso della verità, né in merito all’analisi dei problemi, né nella loro risoluzione.
In tali questioni è più importante saper avvicinarsi, che dare una risposta affrettata sul perché una cosa è successa o su come superarla.
Dialogo |
L’obiettivo è imparare ad affrontare i problemi, che sono sempre diversi, perché ogni generazione è nuova, con nuove sfide, nuovi sogni, nuove domande. |
Abbiamo qui un aspetto fondamentale per la costruzione della “cultura dell’incontro” attraverso il dialogo e l’amicizia sociale.
Nel contesto della rivoluzione digitale in corso, il mandato di educare al senso critico va riscoperto, esplicitato e coltivato, contrastando le tentazioni opposte, che possono attraversare anche il corpo ecclesiale.
C’è poco dialogo attorno a noi e prevalgono le parole gridate, le fake news e le tesi irrazionali di pochi prepotenti.
Fondamentali sono l’approfondimento e lo studio, e ugualmente l’incontro e l’ascolto dei poveri, tesoro della Chiesa e dell’umanità, portatori di punti di vista scartati, ma indispensabili a vedere il mondo con gli occhi di Dio. Vi raccomando di dare la parola ai poveri.
(Ai membri della Fondazione
Centesimus Annus Pro Pontifice)
Domenica 18
Servo della |
Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia. |
Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù.
Ce lo narra il brano del Vangelo, che ci conduce sul lago di Tiberiade, lo stesso dove Gesù aveva iniziato la missione ricevuta dal Padre: “pescare” l’umanità per salvarla dalle acque del male e della morte.
Passando sulla riva di quel lago, aveva chiamato Pietro e gli altri primi discepoli a essere come Lui “pescatori di uomini”; e ora, dopo la risurrezione, tocca proprio a loro portare avanti questa missione, gettare sempre e nuovamente la rete per immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo, navigare nel mare della vita perché tutti possano ritrovarsi nell’abbraccio di Dio.
Quando Gesù chiede a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» si riferisce all’amore del Padre.
È come se Gesù gli dicesse: solo se hai conosciuto e sperimentato questo amore di Dio, che non viene mai meno, potrai pascere i miei agnelli; solo nell’amore di Dio Padre potrai amare i fratelli con un “di più”, offrendo la vita per i tuoi fratelli.
Amare come ha fatto Gesù |
A Pietro, dunque, è affidato il compito di “amare di più” e di donare la sua vita per il gregge. |
Il ministero di Pietro è contrassegnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo.
Non si tratta di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù.
Se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate; al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro.
Tutti siamo costituiti «pietre vive», chiamati col nostro Battesimo a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità.
Lievito |
Questo vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato. |
In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri.
Noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità.
Guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola!
Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno.
Questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace.
Questa è l’ora dell’amore!
(Messa per l’inizio del Ministero petrino)
Lunedì 19
Più fraternità per un mondo |
Mentre siamo in cammino verso il ristabilimento della piena comunione tra tutti i cristiani, riconosciamo che questa unità non può che essere unità nella fede. |
Quella per l’unità è sempre stata una mia costante preoccupazione, come testimonia il motto che ho scelto per il ministero episcopale: In Illo uno unum, un’espressione di Sant’Agostino di Ippona che ricorda come anche noi, pur essendo molti, «in Quell’unico — cioè Cristo — siamo uno». La nostra comunione si realizza, infatti, nella misura in cui convergiamo nel Signore Gesù. Più siamo fedeli e obbedienti a Lui, più siamo uniti tra di noi.
Consapevole, inoltre, che sinodalità ed ecumenismo sono strettamente collegati, desidero assicurare la mia intenzione di proseguire l’impegno di Papa Francesco nella promozione del carattere sinodale della Chiesa Cattolica e nello sviluppo di forme nuove e concrete per una sempre più intensa sinodalità in campo ecumenico.
Dialogare |
Oggi è tempo di dialogare e di costruire ponti. Desidero rivolgere un saluto ai fratelli e alle sorelle ebrei e musulmani. |
Il dialogo teologico tra cristiani ed ebrei rimane importante e mi sta molto a cuore.
Anche in questi tempi difficili, segnati da conflitti e malintesi, è necessario continuare con slancio questo nostro dialogo così prezioso.
I rapporti tra la Chiesa Cattolica e i musulmani sono stati segnati da un crescente impegno per il dialogo e la fraternità.
Tale approccio, fondato sul rispetto reciproco e sulla libertà di coscienza, rappresenta una solida base per costruire ponti tra le nostre comunità.
Sono convinto che, se saremo concordi e liberi da condizionamenti ideologici e politici, potremo essere efficaci nel dire “no” alla guerra e “sì” alla pace, “no” alla corsa agli armamenti e “sì” al disarmo, “no” a un’economia che impoverisce i popoli e la Terra e “sì” allo sviluppo integrale.
(Alle delegazioni ecumeniche e interreligiose convenute per l’inizio del Ministero petrino )
Martedì 20
Testimoni |
Il brano biblico che abbiamo ascoltato è l'inizio di una bellissima lettera indirizzata da San Paolo ai cristiani di Roma, il cui messaggio ruota attorno a tre grandi temi: la grazia, la fede e la giustizia. |
San Paolo dice prima di tutto di aver avuto da Dio la grazia della chiamata. Riconosce, cioè, che il suo incontro con Cristo e il suo ministero sono legati all'amore con cui Dio lo ha preceduto, chiamandolo ad un’esistenza nuova mentre era ancora lontano dal Vangelo e perseguitava la Chiesa.
Sant’Agostino — anche lui un convertito — parla della stessa esperienza dicendo: «Cosa potremo noi scegliere, se prima non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non possiamo nemmeno amare».
Alla radice di ogni vocazione c’è Dio: la sua misericordia, la sua bontà, generosa come quella di una madre, che naturalmente, attraverso il suo stesso corpo, nutre il suo bambino quando è ancora incapace di alimentarsi da solo.
Paolo, però, nello stesso brano, parla anche di «obbedienza della fede», e pure qui condivide ciò che ha vissuto.
Il Signore apparendogli sulla via di Damasco, non lo ha privato della sua libertà, ma gli ha lasciato la possibilità di una scelta, di una obbedienza frutto di fatica, di lotte interiori ed esteriori, che lui ha accettato di affrontare.
La salvezza non viene per incanto, ma per un mistero di grazia e di fede, di amore preveniente di Dio, e di adesione fiduciosa e libera da parte dell’uomo.
Mentre allora ringraziamo il Signore per la chiamata con cui ha trasformato la vita di Saulo, gli chiediamo di saper anche noi rispondere ai suoi inviti, facendoci testimoni dell’amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato».
Gli chiediamo di saper coltivare e diffondere la sua carità, facendoci prossimi gli uni per gli altri, nella stessa gara di affetti che, dall’incontro con Cristo, ha spinto l’antico persecutore a farsi “tutto a tutti”, fino al martirio.
Così, per noi come per lui, nella debolezza della carne si rivelerà la potenza della fede in Dio che giustifica.
(Visita al sepolcro di San Paolo nella basilica Ostiense)
Ponti di |
So che state per fare un lavoro sinodale di discernimento in preparazione alla COP30. |
Rifletterete insieme su una possibile remissione del debito pubblico e del debito ecologico, una proposta che Papa Francesco aveva suggerito nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace.
Vorrei incoraggiare voi, rettori universitari, in questa missione che avete assunto: essere costruttori di ponti di integrazione tra le Americhe e la Penisola Iberica, lavorando per la giustizia ecologica, sociale e ambientale. Vi incoraggio a continuare a costruire ponti.
(Videomessaggio a rettori di atenei delle Americhe e della Penisola Iberica riuniti a Rio de Janeiro)
Mercoledì 21
La parola |
Nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo, la parabola del seminatore introduce una serie di altre piccole parabole, alcune delle quali parlano proprio di ciò che avviene nel terreno: il grano e la zizzania, il granellino di senape, il tesoro nascosto nel campo. |
Cos’è dunque questo terreno? È il nostro cuore, ma è anche il mondo, la comunità, la Chiesa. La parola di Dio, infatti, feconda e provoca ogni realtà.
Un seminatore, alquanto originale, esce a seminare, ma non si preoccupa di dove cade il seme. Getta i semi anche là dove è improbabile che portino frutto: sulla strada, tra i sassi, in mezzo ai rovi.
Noi siamo abituati a calcolare le cose — e a volte è necessario —, ma questo non vale nell’amore! Il modo in cui questo seminatore “sprecone” getta il seme è un’immagine del modo in cui Dio ci ama.
È vero che il destino del seme dipende anche dal modo in cui il terreno lo accoglie e dalla situazione in cui si trova, ma anzitutto in questa parabola Gesù ci dice che Dio getta il seme della sua parola su ogni tipo di terreno, cioè in qualunque nostra situazione.
A volte siamo più superficiali e distratti, a volte ci lasciamo prendere dall’entusiasmo, a volte siamo oppressi dalle preoccupazioni della vita, ma ci sono anche i momenti in cui siamo disponibili e accoglienti.
Dio è fiducioso e spera che prima o poi il seme fiorisca. Egli ci ama così: non aspetta che diventiamo il terreno migliore, ci dona sempre generosamente la sua parola.
Forse proprio vedendo che Lui si fida di noi, nascerà in noi il desiderio di essere un terreno migliore.
Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio.
Raccontando il modo in cui il seme porta frutto, Gesù sta parlando anche della sua vita. Gesù è la Parola, è il Seme.
Il seme, per portare frutto, deve morire: questa parabola ci dice che Dio è pronto a “sprecare” per noi e che Gesù è disposto a morire per trasformare la nostra vita.
Ho in mente quel bellissimo dipinto di Van Gogh: Il seminatore al tramonto.
Mi colpisce che, alle spalle del seminatore, Van Gogh ha rappresentato il grano già maturo. Mi sembra un’immagine di speranza: in un modo o nell’altro, il seme ha portato frutto.
Tutto il dipinto è dominato dall’immagine del sole, forse per ricordarci che è Dio a muovere la storia, anche se talvolta ci sembra assente o distante.
È il sole che scalda le zolle della terra e fa maturare il seme.
(Udienza generale in piazza San Pietro)