
di Fabrizio Salvati
Dal 21 aprile e durante tutti i giorni successivi alla scomparsa di Papa Francesco, molte volte ho riflettuto e elaborato una serie di pensieri basati sul ricordo del Pontefice appena tornato alla Casa del Padre.
Oggi a trenta giorni da quell’evento, mi sembra di poter fissare questa breve riflessione per iscritto, perché, si sa, verba volant, scripta manent.
Se c’è un tema su cui Papa Bergoglio non si è risparmiato, il suo campo di eccellenza, è stato quello della povertà. A tutto campo: povertà mondiale, con la sua costante attenzione alle “periferie” del mondo; povertà di casa nostra, nelle sue molteplici, innumerevoli facce. E tanti sono stati i suoi interventi volti ad alleviare il disagio delle tante persone variamente emarginate; tanti sono stati i provvedimenti adottati direttamente su sua indicazione.
Personalmente, devo la mia ripartenza proprio a due di questi strumenti messi a disposizione da lui.
Il primo in ordine di tempo è Palazzo Migliori, dove alloggio. Un residence a tutti gli effetti, ricco di comfort da un lato e di simpatia, stima, affetto — insomma, calore umano — che i suoi operatori sanno diffondere. Poter usufruire di un aiuto simile è l’ingrediente fondamentale per ripartire.
Non si tratta semplicemente di disporre di comodità, cosa pure importantissima — non fosse altro che per recuperare il proprio decoro — ma di recuperare una “normalità” nella vita, nuovamente scandita da ritmi regolari. E poiché da cosa nasce cosa, se non fossi stato lì non sarei stato in contatto con «L’Osservatore di Strada», il periodico fatto non già “sui” o “per”, bensì “dai” poveri — da lui voluto per dare voce a chi non ce l’ha.
Collaborare a questo giornale mi ha restituito quel ruolo, ad un tempo esistenziale e sociale, che avevo smarrito. Questi sono stati i più potenti, efficaci strumenti per la mia ripresa.
È per questo che quando ebbi modo di incontrarlo personalmente, in occasione di un’udienza concessa a «L’Osservatore di Strada», volli significargli la mia gratitudine e riconoscenza. Era già molto stanco a metà mattina, reduce da altre due udienze, e non pronunciò discorsi, né volle ascoltarne. Ma volle incontrarci uno ad uno, salutandoci con il suo calore e guardandoci negli occhi, faccia a faccia.
E allora in quel momento, giunto il mio turno, pensai, a torto o a ragione, che potesse fargli piacere sentire qualche parola, nella sua lingua, le uniche — semplicissime — che mi sentivo in grado di pronunciare: «Muchisimas gracias por lo que hace para todos nosotros pobres», «Tantissime grazie per tutto quello che fa per tutti noi poveri».
E ora, che dire? Forse «Vayas con Dios», «Vai con Dio, Padre Santo!»