
di Valerio Palombaro
Il modo in cui si racconta l’Africa può alimentare pregiudizi, distanza, paura; oppure può costruire ponti di conoscenza, rispetto e collaborazione. Questa considerazione è al centro de L’Africa MEDIAta”, il rapporto di Amref e Osservatorio di Pavia giunto alla sesta edizione, presentato oggi a Roma in vista della Giornata dell’Africa del 25 maggio, anniversario di nascita nel 1963 di quella che ora è l’Unione africana.
Il rapporto analizza le prime pagine dei quotidiani italiani, i notiziari di prima serata e i programmi televisivi. Ne emerge un netto ridimensionamento dei titoli in prima pagina sull’Africa nei principali quotidiani italiani: 50% in meno nel 2024 rispetto all’anno precedente. Per il 77,3% si tratta di notizie ambientate in Italia o in altri “Paesi occidentali”, ovvero quella che il dossier definisce l’”Africa qui”, come il Piano Mattei, il caso della pugile algerina Khelif o gli italiani afrodiscendenti alle Olimpiadi. Ai fatti collocati nella cornice africana va il 25,2% dei titoli, dove al primo posto c’è la “categoria” guerra e terrorismo, con prevalenza per le crisi Sudan e Repubblica Democratica del Congo.
Anche nei notiziari di prima serata, nel 2024 si accentua una tendenza di progressiva delle notizie “africane”, che contano solo per l’1,2%. Per la prima volta è stata inoltre “misurata” la presenza di soggetti africani o afrodiscendenti in tv (da settembre 2024, l’Osservatorio di Pavia rileva l’identità degli ospiti). Il numero di apparizioni di soggetti africani o di origine africana corrisponde solo all’1,2% del totale.
In linea con una “invisibilità” delle persone africane e afrodiscendenti, il rapporto — grazie al confronto con l’indagine “Africa e Salute: l’opinione degli italiani”, condotta da Ipsos per Amref nel settembre 2024 — evidenzia una corrispondenza tra la percezione e la rappresentazione del continente africano. Nei media “mainstream”, infatti, viene confermata una tendenza a descrivere l’Africa solo in termini di povertà, le migrazioni, guerre, a cui si aggiungono carestia, sovrappopolazione, malattie, disoccupazione e terrorismo. Argomenti, questi, che restituiscono i contorni di una “Africa senza speranza” e che si insinuano purtroppo anche negli occhi e nel pensiero degli italiani. Come testimoniato dal sondaggio Ipsos, alla domanda “quali sono le parole che associ principalmente all’Africa?”, il 67% degli intervistati ha risposto con “povertà, malattie, e migrazione”.
La presidente di Amref Italia, Paola Crestani, ricorda le parole del presidente italiano Sergio Mattarella, secondo cui «l’Italia è più che mai convinta della necessità che i nostri due continenti affrontino insieme le sfide rivolte oggi alla comunità internazionale». Un appello molto importante anche in vista, domani 21 maggio, della riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue e dell’Unione Africana a Bruxelles.
«Possiamo essere quel ponte verso l’Africa, per le sfide comuni, ma abbiamo bisogno di allargare la conoscenza del continente a noi così vicino», dichiara Crestani individuando comunque un «seme di speranza» dal sondaggio Ipsos: «L’82% auspica un approccio che metta più in luce gli aspetti positivi e le potenzialità del continente, e questa percentuale sale all’88%, con i giovani, la Generazione Z».
E Amref è in prima linea nel diffondere la voce e il punto di vista dei giovani africani. Un’azione che si svolge anche nel quadro del progetto DCYDE, che riunisce dal 19 al 21 maggio a Vienna 140 giovani da 12 Paesi. Per Amref c’è Arthur Mwai kenyano di 38 anni, che guida programmi volti a migliorare l’accesso all’acqua potabile e all’istruzione per alcune delle comunità più vulnerabili. Sotto la sua guida, gli interventi di Amref nelle scuole della costa kenyana hanno contribuito a migliorare le condizioni di oltre 100.000 studenti, attraverso la fornitura di acqua pulita, infrastrutture igienico-sanitarie e programmi di educazione all’igiene.
Eventi come quello di Vienna, ci spiega Arthur in un colloquio telefonico, «contribuiscono ad avvicinare Africa ed Europa» creando «una migliore comprensione dell’Africa, che può essere un continente molto complicato. Anche in uno stesso Paese – fa notare – ci sono tante differenze, pensiamo ad esempio al Kenya dove vengono parlate 42 lingue oltre allo swahili e all’inglese».
«Il futuro dell’Africa è nelle mani dei giovani e dei bambini», insiste Arthur nel sottolineare il ruolo decisivo dell’istruzione: «Il completamento del percorso scolastico per i giovani è decisivo e comporta anche una riduzione del tasso di povertà».
La ricerca di una vita migliore e, quindi, la sfida dell’immigrazione è una realtà ampiamente diffusa nel continente africano. «Ma in Kenya molte persone preferiscono aprire attività imprenditoriali, anche piccole, nel loro Paese», afferma Arthur, smentendo il luogo comune secondo cui in Africa ci sono solo emergenze mentre vi è tanto altro nella quotidianità. «Gli studi antropologici ci dicono che i primi uomini sono nati al confine tra Etiopia e Kenya. E da lì sono andati in tutto il mondo. La storia dell’umanità ci insegna che siamo tutti africani e che siamo tutti parte di un’unica famiglia».
Il rapporto di Amref vuole dunque sovvertire gli stereotipi, incoraggiando i media a raccontare il volto positivo di un continente che rappresenta il futuro dell’umanità: i dati dell’Onu prevedono, infatti, che nel 2030 oltre il 40% della popolazione giovanile mondiale sarà africana ed entro il 2050 l’Africa rappresenterà più del 25% della popolazione globale, con un incremento fino a 2,1 miliardi e un’età media inferiore ai 25 anni. In questo senso, nella sezione finale dedicata agli esempi virtuosi, viene elogiato il ruolo della stampa cattolica e in generale dei media che veicolano una visione dei migranti e dell’Africa improntata all’inclusione, allo spirito umanitario e alla solidarietà. Contribuiscono a questa narrazione i racconti di attività che descrivono la vitalità della società civile o storie di vita che rimettono al centro una “prospettiva africana”.