· Città del Vaticano ·

Un Papa sinodale
per una Chiesa
al servizio della pace

 Un Papa sinodale  per una Chiesa al servizio della pace  QUO-115
19 maggio 2025

di Nathalie Becquart*

Dalla domenica di Pasqua alla domenica del Buon Pastore abbiamo vissuto un’esperienza profonda come popolo di Dio: abbiamo pianto Papa Francesco e poi abbiamo accolto con gioia il suo successore. Quei giorni di preghiera e di celebrazione, vissuti in un clima di pace e di fratellanza, hanno mostrato il legame indissolubile tra il vescovo di Roma e la diversità del popolo di Dio. Attraverso quella folla venuta prima a raccogliersi e poi a celebrare, abbiamo contemplato quel mistero di unità nella diversità che fa di noi i membri di una stessa famiglia umana e di uno stesso Corpo di Cristo. Il popolo di Dio ha accompagnato, con la sua presenza e la sua preghiera, il processo di discernimento dei cardinali. All’uscita dal conclave, diversi cardinali hanno testimoniato di aver vissuto un’autentica esperienza di collegialità, giungendo a un consenso e sentendosi particolarmente sostenuti dalla preghiera del Popolo di Dio. Abbiamo vissuto momenti forti di missione, di comunione e di partecipazione a uno stesso processo — attraverso modalità diverse — che si è rivelato un segno per il mondo, coinvolgendo sia i credenti sia i non credenti.

L’elezione di Papa Leone XIV apre un nuovo capitolo nella storia della Chiesa, e al tempo stesso s’inscrive già nella continuità del cammino sinodale iniziato dal suo predecessore e, più in generale, dal percorso aperto dal Concilio Vaticano II. Tale cammino va proseguito nel contesto attuale di un mondo multipolare in crisi, attraversato da tante guerre e sfide che chiamano la Chiesa a impegnarsi sempre più al servizio dell’unità e della pace.

Originario dei quartieri popolari e multiculturali del sud di Chicago, il nuovo Santo Padre porta in sé, attraverso la sua storia familiare, il meticciato caratteristico del nostro mondo globalizzato, segnato da crescenti migrazioni. La sua formazione teologica e il suo percorso missionario in Perú l’hanno condotto a quella esperienza trasformativa propria di ogni missionario che passa attraverso lo spogliarsi di sé stesso per radicarsi in un’altra cultura, fino ad abbracciarne la cittadinanza.

Il suo ricco percorso dalla dimensione mondiale, con in aggiunta l’esperienza di dodici anni come superiore generale di una congregazione internazionale, che gli ha permesso di stare accanto sia ai più poveri sia alle persone con ruoli di responsabilità, fino alla sua nomina a prefetto del Dicastero per i vescovi, ha richiesto da lui un processo di apprendimento umile e costante per passare da un Paese all’altro, da un ministero all’altro, da un atteggiamento all’altro. La sua forza risiede certamente nel suo radicamento tra gli agostiniani, che ha forgiato in lui una spiritualità profonda e un acuto senso di comunità.

La sua prima apparizione e il suo primo Regina Caeli ci hanno permesso di contemplare la sinodalità in atto come «il camminare insieme dei Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione a tutta l’umanità» (Documento finale della Seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, n. 28, 2-27 ottobre 2024). E, attraverso la folla dei pellegrini e delle persone di ogni condizione riunite per quei momenti storici, anticipazione del Regno, ci siamo sentiti pellegrini della Speranza, fratelli e sorelle in Cristo sospinti dal soffio dello Spirito.

Questo Papa, con le sue prime parole, incarna la vocazione della Chiesa sinodale missionaria a essere «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (ibidem), il che significa dialogare, costruire ponti. Abbiamo davvero vissuto, interiormente ed esteriormente, ciò che il Documento finale descrive al punto 17: «Il processo sinodale ci ha fatto provare il “gusto spirituale” (EG 268) di essere Popolo di Dio, riunito da ogni tribù, lingua, popolo e nazione».

Avendolo incontrato durante il Sinodo e incrociato regolarmente al Sant’Uffizio negli ultimi due mesi, ho potuto osservare un uomo dotato di un grande senso dell’ascolto, semplice e discreto, posato e riflessivo, che incarna le attitudini fondamentali della spiritualità sinodale: umiltà, umanità, fiducia, ricerca dell’unità come armonia nella diversità, discernimento, attenzione alle situazioni concrete e consapevolezza della complessità, desiderio di operare per la pace e la comunione, semplicità e apertura ai problemi del mondo.

Nel nostro mondo lacerato dai conflitti, Papa Leone XIV ricorda che la Chiesa è chiamata a testimoniare e riflettere la pace di Cristo risorto. La sua presenza pacata e la sua dolce sicurezza, fondata sull’accettazione della chiamata ricevuta, segno di una vita decentrata e donata agli altri, costituiscono un segno profetico per il nostro tempo, che ha più che mai bisogno di questo stile di leadership al servizio degli altri. In continuità con Francesco, ma con uno stile proprio, è indubbio che ci aiuterà a proseguire quel cammino di conversione missionaria necessario per rispondere alla chiamata di Cristo: «perché tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda» (Gv 17, 21).

*Sotto-segretario della Segreteria generale del Sinodo