· Città del Vaticano ·

Gettare lo sguardo lontano

 Gettare  lo sguardo lontano  QUO-115
19 maggio 2025

di Andrea Monda

Nel momento in cui Leone XIV ha delineato il profilo del Papa, del pastore universale della Chiesa così come è stato tracciato dai cardinali rinchiusi in conclave, ha parlato di «un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi». Le inquietudini di oggi, colpisce questa parola anche perché il Papa l’ha ripetuta più volte durante l’omelia della messa di insediamento, dall’inizio alla fine. Ha cominciato con l’incipit delle Confessioni di sant’Agostino e il famoso “cor inquietum” («Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te») e questa non è una sorpresa data la vocazione e la spiritualità dell’agostiniano Robert Francis Prevost che ha subito “confessato” di aver accettato l’elezione “con timore e tremore”.

Gettare lo sguardo lontano quindi, senza paura del mondo, e nel mondo gettare anche le reti: «portare avanti questa missione, gettare sempre e nuovamente la rete per immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo, navigare nel mare della vita perché tutti possano ritrovarsi nell’abbraccio di Dio». Questa “pesca” non è un atto di proselitismo, ma d’amore: «Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù». Il cristiano è sale, lievito, fermento ha ricordato Leone XIV. Il gettare lo sguardo e le reti esige il “duc in altum”, uscire dal proprio recinto dove l’acqua è bassa e tranquilla e sfidare le onde del mare aperto: «Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo». Ogni popolo, nessuno escluso; il cammino dei cattolici non è un’avventura solitaria ma un’esperienza da vivere insieme: «E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace». Se la pace è l’orizzonte verso cui camminare, come Leone ha fatto capire sin dal suo primo saluto («La pace sia con tutti voi!»), essa non è disgiunta da quella “inquietudine” che deve essere coltivata; la pace infatti non è una “quiete” che spegne ogni inquietudine ma è l’ancora su cui è fondata la speranza del cristiano, quella fede in Gesù e nel suo amore che non evita ma attraversa tutte le crisi, i dubbi, le inevitabili inadeguatezze e incompiutezze della vita e anche i tormenti spirituali. Avviene così l’incontro di due inquietudini: gli inquieti ricercatori di Dio sono fratelli, alleati dei credenti autentici che conoscono bene quella inquietudine e non la temono. I cristiani hanno loro stessi una coscienza inquieta e grazie ad essa “pro-vocano” il mondo, lo richiamano, lo interpellano, con umile coraggio, in modo che non perda mai di vista la custodia di tutto ciò che è umano a partire dalla dignità di ogni vivente. Questa inquieta alleanza si coltiva con il dialogo coraggioso e fiducioso che il cattolico intraprende con il mondo contemporaneo spesso smarrito e confuso, diviso e ferito. Il dialogo allora è la strada che porta alla riva del lago oltre il quale ci aspetta il Signore, già pronto a cucinare del buon pesce per i suoi “figlioli” (Gv 21, 4-10). Verso quella riva il successore di Pietro, concludendo la sua omelia, ci ha invitato a navigare diventando sempre di più «una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità».