· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-112
15 maggio 2025

Giovedì 8

 

La pace
disarmata
e disarmante
sia con tutti voi

 

La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore, che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, tutta la terra.

Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, che ci ama tutti incondizionatamente.

Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco che benediceva Roma, il Papa che benediceva Roma, dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua.

Mano
nella mano
con Dio
e tra noi

 

Dio ci vuole bene, vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti! Siamo discepoli di Cristo, che ci precede.

Il mondo ha bisogno della sua luce, l’umanità necessita di Lui come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore.

Aiutateci anche voi a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace.

Grazie a Papa Francesco! Voglio ringraziare anche tutti i confratelli Cardinali che hanno scelto me per essere Successore di Pietro e camminare insieme a voi, come Chiesa unita cercando sempre la pace, la giustizia, cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura, per proclamare il Vangelo, per essere missionari.

Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano, che ha detto: “Con voi sono cristiano e per voi vescovo”. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato.

Alla Chiesa di Roma un saluto speciale! Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta ad accogliere, come questa piazza, con le braccia aperte tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della nostra presenza, del dialogo e dell’amore.

Il saluto
alla diocesi
di Chiclayo

 

[dallo spagnolo] Se mi permettete una parola, un saluto a tutti e in modo particolare alla mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, condiviso la sua fede e dato tanto, tanto, per continuare ad essere Chiesa fedele di Gesù Cristo.

A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, d’Italia, di tutto il mondo: vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità e di essere vicino specialmente a coloro che soffrono.

Oggi è il giorno della Supplica alla Madonna di Pompei. Nostra Madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione e il suo amore.

Vorrei pregare insieme a voi. Preghiamo insieme per questa nuova missione, per tutta la Chiesa, per la pace nel mondo e chiediamo questa grazia speciale a Maria, nostra Madre: Ave Maria…

(Prima benedizione “Urbi et Orbi” )

Venerdì 9

 

La Chiesa
arca di salvezza
e faro nelle
notti del mondo

 

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»: con queste parole Pietro, interrogato dal Maestro, assieme agli altri discepoli, circa la sua fede in Lui, esprime in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette.

Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre. In Lui Dio, per rendersi vicino e accessibile agli uomini, si è rivelato a noi negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo, fino ad apparire ai suoi, dopo la risurrezione, con il suo corpo glorioso.

Ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità.

Pietro, nella sua risposta, coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano.

Affidate a noi, da Lui scelti prima che ci formassimo nel grembo materno, rigenerati nell’acqua del Battesimo e, al di là dei nostri limiti e senza nostro merito, condotti qui e di qui inviati, perché il Vangelo sia annunciato ad ogni creatura.

La risposta
del mondo
e della gente

 

«La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Pensando alla scena su cui stiamo riflettendo, potremmo trovare a questa domanda due possibili risposte, che delineano altrettanti atteggiamenti.

C’è prima di tutto la risposta del mondo, un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. Così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo “mondo” non esiterà a respingerlo e a eliminarlo.

C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un “ciarlatano”: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti, però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi.

Colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente — magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza — sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo.

La mancanza
di fede provoca
drammi

 

Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere.

Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco.

Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto.

Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore.

Sparire perché rimanga Cristo

 

È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Dico questo prima di tutto per me, come Successore di Pietro, mentre inizio questa mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale.

Sant’Ignazio di Antiochia, condotto in catene verso il luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo».

Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo — e così avvenne —, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità.

Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo.

(Messa «pro Ecclesia» con i cardinali
nella Cappella Sistina)

Sabato 10

 

Cristo ravviva la Chiesa
e l’umanità
in cerca di pace

 

In questo momento, ad un tempo triste e lieto, provvidenzialmente avvolto dalla luce della Pasqua, vorrei che guardassimo assieme alla dipartita del compianto Santo Padre Francesco e al Conclave come a un evento pasquale

Una tappa del lungo esodo attraverso cui il Signore continua a guidarci verso la pienezza della vita; e in questa prospettiva affidiamo al «Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» l’anima del defunto Pontefice e anche il futuro della Chiesa.

Il Papa, a cominciare da San Pietro e fino a me, suo indegno Successore, è un umile servitore di Dio e dei fratelli, non altro che questo. Bene lo hanno mostrato gli esempi di tanti miei Predecessori, da ultimo quello di Papa Francesco stesso.

Raccogliamo questa preziosa eredità e riprendiamo il cammino, animati dalla stessa speranza che viene dalla fede.

È il Risorto, presente in mezzo a noi, che protegge e guida la Chiesa e che continua a ravvivarla nella speranza.

Nei giorni scorsi, abbiamo potuto vedere la bellezza e sentire la forza di questa immensa comunità, che con tanto affetto e devozione ha salutato e pianto il suo Pastore, accompagnandolo con la fede e con la preghiera nel momento del suo definitivo incontro con il Signore.

In cammino
sulla scia
del Concilio
Vaticano II

 

Abbiamo visto qual è la vera grandezza della Chiesa, grembo da cui anche noi siamo stati generati e al tempo stesso il gregge, il campo che ci è dato perché lo curiamo e lo coltiviamo, lo alimentiamo con i Sacramenti della salvezza e lo fecondiamo con il seme della Parola, così che, solido nella concordia ed entusiasta nella missione, cammini, come già gli Israeliti nel deserto, all’ombra della nube e alla luce del fuoco di Dio.

Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II.

Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio; la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita nella collegialità e nella sinodalità; l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare; la cura amorevole degli ultimi, degli scartati; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà.

Si tratta di principi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della Famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità.

La scelta
del nome
Leone XIV

 

Sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV.

Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.

(Al Collegio cardinalizio)

Domenica 11

 

Annunciare
il Vangelo
a tutto il mondo

 

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato, in questa domenica del Buon Pastore, dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono».

Gesù Cristo, che seguiamo, è il Buon Pastore, ed è Colui che ci dà la vita: «la via, la verità e la vita».

Questa domenica è detta speciale per diversi motivi: uno dei primi che menzionerei è quello delle vocazioni.

Prima e dopo l’elezione del nuovo Papa, abbiamo parlato molto delle vocazioni nella Chiesa e di quanto sia importante che tutti noi ci interroghiamo insieme.

Anzitutto e soprattutto dando il buon esempio con la nostra vita, con gioia, vivendo la gioia del Vangelo, non scoraggiando gli altri, ma cercando piuttosto modi per animare i giovani ad ascoltare la voce del Signore, a seguirla e a servire nella Chiesa. «Io sono il Buon Pastore», ci dice Gesù.

Nella prima Lettura che abbiamo ascoltato, Paolo e Barnaba vanno ad Antiochia, vanno prima dai giudei, ma loro non vogliono ascoltare la voce del Signore, e cominciano allora ad annunciare il Vangelo a tutto il mondo, ai pagani.

Partono per questa grande missione.

San Paolo viene a Roma, dove alla fine lui la compie.

Un altro esempio di testimonianza di un buon pastore. In quell’esempio c’è anche un invito molto speciale a tutti noi.

Lo dico anche in una maniera molto personale; annunciare il Vangelo a tutto il mondo.

Ascoltare
e testimoniare
con coraggio

 

Tante volte Gesù dice nel Vangelo: “Non abbiate paura!”. Bisogna essere coraggiosi nella testimonianza che diamo, con la parola e soprattutto con la vita: dando la vita, servendo, qualche volta con grandi sacrifici, per vivere proprio questa missione.

Penso che sia importante che tutti noi impariamo sempre di più ad ascoltare, per entrare in dialogo. Anzitutto con il Signore: ascoltare sempre la Parola di Dio. Poi anche ascoltare gli altri: sapere costruire i ponti, sapere ascoltare per non giudicare, non chiudere le porte, pensando che noi abbiamo tutta la verità e nessun altro può dirci niente. È molto importante ascoltare la voce del Signore, ascoltarci, in questo dialogo, e vedere verso dove il Signore ci sta chiamando.

(Messa nella cripta della basilica di San Pietro)

 

Preghiera
per le vocazioni

 

In questa domenica, da sessantadue anni, si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Oggi ho la gioia di pregare con voi e con tutto il Popolo di Dio per le vocazioni, specialmente per quelle al sacerdozio e alla vita religiosa: la Chiesa ne ha tanto bisogno!

È importante che i giovani e le giovani trovino, nelle nostre comunità, accoglienza, ascolto, incoraggiamento nel loro cammino vocazionale, e che possano contare su modelli credibili di dedizione generosa a Dio e ai fratelli.

Facciamo nostro l’invito che Papa Francesco ci ha lasciato nel suo Messaggio per la Giornata odierna: l’invito ad accogliere e accompagnare i giovani.

Mai più la guerra

 

La Vergine Maria, la cui vita fu tutta una risposta alla chiamata del Signore, ci accompagni sempre nella sequela di Gesù.

L’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, terminava 80 anni fa, l’8 maggio, dopo aver causato 60 milioni di vittime.

Nell’odierno scenario drammatico di una terza guerra mondiale a pezzi, come più volte ha affermato Papa Francesco, mi rivolgo anch’io ai grandi del mondo, ripetendo l’appello sempre attuale: “Mai più la guerra!”.

Porto nel mio cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino. Si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie.

Mi addolora profondamente quanto accade nella Striscia di Gaza. Cessi immediatamente il fuoco! Si presti soccorso umanitario alla stremata popolazione civile e siano liberati tutti gli ostaggi.

Ho accolto invece con soddisfazione l’annuncio del cessate il fuoco tra India e Pakistan, e auspico che attraverso i prossimi negoziati si possa presto giungere a un accordo durevole.

Quanti altri conflitti ci sono nel mondo! Affido alla Regina della pace questo accorato appello perché sia lei a presentarlo al Signore Gesù per ottenerci il miracolo della pace.

Oggi in Italia e in altri Paesi si celebra la festa della mamma. Mando un caro saluto a tutte le mamme, con una preghiera per loro e per quelle che sono già in Cielo.

Buona festa a tutte le mamme!

(Regina Caeli dalla Loggia centrale della basilica Vaticana)

Lunedì 12

 

Disarmiamo
le parole per
disarmare
la terra

 

La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra.

Permettetemi allora di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, e con queste parole anche chiedere la liberazione di questi giornalisti incarcerati.

La Chiesa riconosce in questi testimoni — penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita — il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere.

Grazie per il vostro servizio alla verità.

Nel nostro
tempo, fuori dai luoghi
comuni

 

Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità.

La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia.

Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».

Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi.

Il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto.

Guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità.

Questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali.

Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce.

Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra.

Vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace.

(Ai rappresentanti dei media)

Mercoledì 14

 

Incontriamoci dialoghiamo negoziamo

 

Siete preziosi. Guardando a voi, penso alla varietà delle vostre provenienze, alla storia gloriosa e alle aspre sofferenze che molte vostre comunità hanno patito o patiscono.

La Chiesa ha bisogno di voi. Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano!

Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana!

E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali!

Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista.

Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali.

Chi più di voi, può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che Papa Francesco chiamò le vostre Chiese «martiriali»?

La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita.

Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare.

L’impegno
per la pace

 

Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace.

I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo!

La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare.

Vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani — orientali e latini — che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle.

Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!

L’Oriente
cristiano possa splendere

 

Le vostre Chiese siano di esempio, e i Pastori promuovano con rettitudine la comunione, soprattutto nei Sinodi dei Vescovi, perché siano luoghi di collegialità e di corresponsabilità autentica.

Si curi la trasparenza nella gestione dei beni, si dia testimonianza di dedizione umile e totale al santo popolo di Dio, senza attaccamenti agli onori, ai poteri del mondo e alla propria immagine.

Lo splendore dell’Oriente cristiano domanda, oggi più che mai, libertà da ogni dipendenza mondana e da ogni tendenza contraria alla comunione, per essere fedeli nell’obbedienza e nella testimonianza evangeliche.

(Ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali)