· Città del Vaticano ·

A San Pietro Divina Liturgia in rito Siro-orientale

 A San Pietro  Divina Liturgia in rito Siro-orientale  QUO-111
14 maggio 2025

di Antonella Palermo

Tra le processioni di pellegrini da ogni parte del mondo che anche ieri hanno attraversato gli splendori della Basilica vaticana, alle 13 ne spiccava una che procedeva verso l’altare della Cattedra: quella di decine di ministri che avrebbero partecipato alla “Santa Qurbana” in rito caldeo, presieduta dal Patriarca della Chiesa caldea Louis Raphaël I Sako.

Un fulgore di casule dorate ha sfilato sulle note dei canti della tradizione siriana orientale, nel secondo giorno del Giubileo delle Chiese orientali. Contraddistinta dall’anafora di Addai e Mari, un’antica preghiera eucaristica tipicamente siro-orientale che si ritiene sia stata composta da Taddeo di Edessa e Mari, discepoli di san Tommaso apostolo, nella Messa sono confluite le comuni radici della Chiesa caldea e della Chiesa siro-malabarese.

«Che la celebrazione sia un segno, non solo di un’eredità conservata, ma di una comunione viva», è stato l’auspicio espresso nell’omelia da Sua Beatitudine Mar Raphael Thattil, arcivescovo maggiore della Chiesa siro-malabarese. «Lasciamoci rinnovare nel desiderio di procedere insieme, Oriente e Occidente, come un’unica Chiesa pellegrina che proclama la speranza in un mondo bisognoso di guarigione», ha aggiunto Thattil sottolineando che il Giubileo non è solo una commemorazione, ma una convocazione per riscoprire la gioia dello Spirito, per testimoniare nel mondo che Cristo è vivo e cammina con la sua Chiesa.

C’era un clima di sentita appartenenza tra i fedeli, di fervente spiritualità: i bambini indossavano il rosario al collo, i canti riportavano alle antiche civiltà mesopotamiche. Nel ricordare l’amato Papa Francesco — instancabile promotore della causa dei poveri, la cui voce richiama tutti ad ascoltare e abbracciare la società con le sue varie culture, e il cui pontificato continua ad ispirare la Chiesa nella via dell’umiltà e del servizio gioioso — lo sguardo è andato al nuovo Successore di Pietro, Leone XIV, che riempie i cuori di fresca speranza e il cui motto «In Illo uno unum» richiama quell’unità che non è, ha precisato Thattil, qualcosa che si costruisce, ma un dono di Colui il quale rende tutti i cristiani un unico corpo. «Celebrare questa liturgia, pertanto, non è solo ammirare qualcosa di bello — ha osservato —, ma è entrare nel mistero della Chiesa che è verità universale, che incorpora le diversità».

Le Chiese orientali sono di fatto missionarie: gli ha fatto eco il cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, nel suo intervento alla fine della Divina Liturgia. Il porporato ha ricordato quella che è stata una storia fatta di divisioni, persecuzioni, martiri, e che ha rischiato di far scomparire queste Chiese. «Invece, ora siete qui, ripieni di fede, testimoni di Cristo risorto. Voglio ringraziarvi per cosa rappresentate per noi. Continuate ad essere missionari — ha insistito —, perché la missione della Chiesa non si è conclusa». Rammentando quanto le diaspore siano state una autentica tragedia, ha tuttavia incoraggiato a operare perché «Dio provvede a creare una nuova occasione di evangelizzazione. Voi siete i missionari oggi, continuate nelle vostre tradizioni, a seconda delle vostre culture. Se le perdete è la Chiesa che perde una parte importante di sé che non potrà essere sostituita». E ha invocato la benedizione del Signore affinché possano essere ammantate di ogni bene queste diverse identità nella speranza di poter essere «felici di stare insieme». E, infine, il mandato: «Conservate l’unità perché il nome di Dio è unità e amore».