· Città del Vaticano ·

Due presuli italiani in Perú parlano di Leone XIV

«Uno che ascolta
e che ti accompagna»

 «Uno che ascolta  e che ti accompagna»  QUO-110
13 maggio 2025

di Gerolamo Fazzini

Viene da Chicago, la città dei “Blues Brothers” e di Barack Obama, ma Robert Francis Prevost ha doppia cittadinanza: statunitense e peruviana. Già, perché stiamo parlando del primo Papa missionario, almeno da un secolo in qua: un agostiniano, figlio di un ordine a forte vocazione missionaria, molto radicato nel Centro e nel Sud America. Uno che si è speso per lunghi anni (e come vescovo dal 2015 al 2023) per la gente di Chiclayo, diocesi nel nord-ovest del Perú che ancora lo porta nel cuore. Nelle ore successive all’elezione di Leone XIV sono diventate virali sulla rete alcune foto che lo ritraggono a cavallo, oppure con le gambe immerse nell’acqua, nel corso di una delle tante inondazioni che colpiscono ciclicamente la Sierra peruviana.

Le testimonianze raccolte in Perú da persone che hanno conosciuto l’allora padre Prevost concordano sul definirlo un missionario vero, capace di parlare al popolo, attento alle sfide sociali e profondamente animato dalla passione per l’annuncio del Vangelo. Parla di lui come di «un pastore con l’odore delle pecore addosso» il salesiano italiano Gaetano Galbusera, già vescovo vicario apostolico di Pucallpa (Amazzonia peruviana), che ha incontrato Prevost in occasione delle riunioni della Conferenza episcopale peruviana. «Tanti dei vescovi che vivono nelle aree periferiche del paese — spiega — fanno vita semplice, girano in borghese e Prevost si è sempre adattato molto a questo stile». Continua monsignor Galbusera: «Abbiamo collaborato nella pastorale: una suora indiana che aveva diretto un piccolo ospedale nella mia diocesi andò proprio a Chiclayo quando venne aperta una nuova presenza della sua congregazione». Conclude: «Il mio ricordo di lui è di un uomo saggio, uno che sa ascoltare e che affronta le situazioni delicate con grande equilibrio (ne ho avuto prova personalmente, per un caso accaduto nella mia diocesi). Prevost è nutrito di una forte spiritualità e, standogli vicino, te ne accorgi».

Come Galbusera, anche monsignor Giorgio Barbetta, 53 anni, in Perú dal 2000, è un figlio spirituale di padre Ugo De Censi, fondatore dell’Operazione Mato Grosso, un’iniziativa missionaria e di solidarietà nata nel 1967 e che nel tempo si è radicata in quattro paesi latinoamericani, tra cui, appunto, il Perú. Dal 2020 “Burbis”, com’è chiamato dai membri di Operazione Mato Grosso, è vescovo ausiliare di Huari, sul versante orientale della Cordillera Blanca. «La sua partecipazione alla mia ordinazione episcopale — racconta parlando di Leone XIV — fu un gesto di comunione. È una sua caratteristica: è “uno che c’è, che ti accompagna”». Continua Barbetta: «Prevost mi ha accompagnato fisicamente al Dicastero per i vescovi quando ancora non ne era prefetto. Lo ha fatto senza parlare ma la sua presenza mi dava tranquillità». E la sera dell’8 maggio? «Quando l’ho visto apparire alla loggia, ho esultato e tremato. Esultato perché è una bella persona, tremato perché non gli è affidata un’autorità o un governo ma qualcosa di Dio: essere ponte tra la terra e il cielo. Chi non tremerebbe?».