· Città del Vaticano ·

Appello della direttrice della comunicazione di Unrwa per la tregua e l’ingresso degli aiuti

Salvare Gaza per «salvare la nostra umanità»

Palestinians salvage items from the rubble at the Fatima Bint Asad school hit in overnight Israeli ...
12 maggio 2025

di Beatrice Guarrera

Un appello «a salvare la nostra umanità» perché si faccia «tutto il possibile per raggiungere un cessate il fuoco» nella Striscia di Gaza dove ormai le condizioni di vita sono disperate. Lo ha lanciato ai microfoni dei media vaticani Juliette Touma, direttrice della comunicazione di Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. «Bisogna fermare i bombardamenti — spiega —, dare alla gente un po’ di tregua, liberare gli ostaggi, portare aiuti umanitari, rifornimenti commerciali». Dopo oltre 580 giorni di guerra, più di 52mila persone uccise dai bombardamenti israeliani e quasi 120mila feriti — secondo i dati del’agenzia palestinese Wafa — la Striscia è sull’orlo del collasso. «La situazione a Gaza è molto difficile, anche a causa dell’assedio che è stato imposto sulla Striscia di Gaza da oltre due mesi — continua Touma — e le nostre scorte, quelle di base, come cibo, forniture igieniche e medicinali, si stanno esaurendo. Nonostante ciò, il nostro team continua a essere sul campo». L’Unrwa è, infatti, la più grande organizzazione umanitaria che opera nella Striscia di Gaza con oltre diecimila persone che lavorano per l'agenzia. «Nonostante tutto, continuano a svolgere un lavoro eccellente e straordinario. Quando parliamo con loro e riusciamo ad aprire le telecamere, se la connessione internet è buona, notiamo che il nostro personale sta perdendo peso sempre di più. Ci dicono che devono condividere un solo pasto con gli altri membri della famiglia». Prima della guerra, molti erano impiegati nell’ambito dell’istruzione, permettendo a più di trecentomila ragazzi e ragazze di andare a scuola. Dopo il 7 ottobre 2023, però, le scuole hanno dovuto chiudere e sono diventate rifugi per gli sfollati. «Molti di coloro che un tempo erano insegnanti, partecipano alla risposta umanitaria — spiega Touma —. Gestiscono rifugi, guidano auto, distribuiscono cibo. I bombardamenti intanto continuano, la gente cerca sicurezza, che non esiste perché a Gaza tutto è stato colpito. Tutti possono essere un bersaglio ovunque, anche in luoghi che dovrebbero essere sicuri, come scuole e strutture delle Nazioni Unite, oppure come gli ospedali, che sono stati colpiti».

Nel frattempo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato un piano di invasione e di occupazione di Gaza, che prevede il trasferimento forzato dei suoi oltre due milioni di abitanti. Mentre i dettagli di attuazione restano ancora incerti, la notizia ha gettato sconcerto nella comunità internazionale. «La posizione delle Nazioni Unite — afferma Touma — è molto chiara: siamo contrari agli sfollamenti forzati. E ciò che deve accadere ora per la popolazione di Gaza è un cessate il fuoco, simile a quello che abbiamo avuto a gennaio, che è durato quasi due mesi. Dovrebbe esserci — ripete — il rilascio immediato di tutti gli ostaggi tenuti a Gaza, deve tornare un flusso regolare di rifornimenti, non solo umanitari, ma anche commerciali». L’economia della Striscia è infatti totalmente annientata, dato che molti vivevano di allevamento e agricoltura, oggi impraticabili con i terreni che sono stati ampiamente distrutti. La stragrande maggioranza della popolazione di Gaza ora fa affidamento sugli aiuti, che ormai scarseggiano. «Le persone stanno già morendo di fame. Qual è il prossimo passo dopo la fame? Sappiamo tutti qual è il prossimo passo dopo la fame. Quindi si può fermare. Si può evitare», riaprendo l’ingresso agli aiuti, ripete Touma ancora una volta.

Intanto, a Gaza continuano a registrarsi decessi, compresi membri dello staff dell'Unrwa. «Quasi trecento dei nostri colleghi dell’Onu — racconta con lo sguardo velato di tristezza — sono stati uccisi. Molti di loro con le loro intere famiglie. Erano insegnanti, medici, infermieri, ingegneri, lavoravano nella logistica, nell’informatica. Non stiamo parlando di numeri: erano i nostri amici, i nostri colleghi, i membri del nostro team. L’agenzia non sarà la stessa senza di loro». Alcuni membri del personale dell’Unrwa, inoltre, sono ancora in detenzione, nel mirino perché accusati, in certi casi, di presunti legami con Hamas. «Le forze israeliane hanno arrestato durante il corso della guerra oltre cinquanta colleghi dell’Unrwa — spiega Touma — anche se la stragrande maggioranza di loro è stata fortunatamente rilasciata. Molti di loro ci hanno raccontato storie strazianti di maltrattamenti: sono stati privati ​​del cibo, del sonno, hanno ricevuto minacce di morte per loro o per i familiari. In alcuni casi hanno subito una forma di tortura chiamata in inglese “waterboarding”. Abbiamo avuto personale costretto a firmare documenti in una lingua che non capiscono. Questo non dovrebbe accadere ai funzionari delle Nazioni Unite. Dovrebbero essere protetti come qualsiasi altro funzionario pubblico in tutto il mondo. Le regole della guerra dovrebbero applicarsi anche a Gaza. Abbiamo subito, poi, anche in Cisgiordania, molestie contro il nostro personale, anche ai posti di blocco». Unrwa infatti continua ad operare in Cisgiordania fornendo istruzione a cinquantamila ragazzi e ragazze nelle scuole dell’agenzia, senza interruzioni. Rimane però la difficoltà di monitorare il lavoro, visto che non vengono più concessi visti a dipendenti Unrwa. «Ai funzionari israeliani, inoltre, è vietato qualsiasi contatto con l’Unrwa. Quindi non c’è più comunicazione. Non c’è coordinamento. A Gerusalemme est occupata i nostri servizi sono sempre minacciati di essere interrotti, di essere chiusi, comprese, tra l’altro, le scuole per circa ottocento bambini».

Unrwa continua a occuparsi anche nei Paesi limitrofi — Giordania, Siria e Libano — dei rifugiati palestinesi, che «sono in generale tra i più poveri delle comunità. E i più vulnerabili. E quindi l’Unrwa fornisce loro i servizi di base, che si tratti di assistenza umanitaria, istruzione o assistenza sanitaria nelle cliniche». Un impegno che dunque prosegue in tutti i luoghi dove si trovano i rifugiati palestinesi, nonostante le difficoltà. Difficoltà che iniziano a essere davvero drammatiche nella Striscia di Gaza.