· Città del Vaticano ·

Le meditazioni delle monache agostiniane di Rossano prima dell’«Habemus Papam»

Una palestra di silenzio chiamata «Conclave»

 Una palestra  di silenzio chiamata «Conclave»  QUO-107
09 maggio 2025

di Silvia Guidi

«Mancano due giorni all’inizio — scrivevano il 5 maggio scorso le monache del Monastero di Sant’Agostino di Rossano nella rubrica digitale Le parole del Lunedì, commentando il termine “Conclave” —. E se ci preparassimo anche noi a questo evento con un piccolo conclave domestico? Almeno ventiquattr’ore di cellulari spenti, computer e altri dispositivi completamente offline, televisione essa pure disattivata... Che clima ne nascerebbe? Proviamo a immaginare... Un raccoglimento che ci costringerebbe a tornare a parlarci, a guardarci negli occhi, ad ascoltarci: mica male però». Le meditazioni del lunedì fanno compagnia a tanti, da remoto ma anche in presenza sulla “montagna santa” di Rossano, una collina tra il Mar Ionio e la Sila greca sempre abitata, nel corso dei secoli, da monaci ed eremiti.

«Per dieci anni — spiegano le religiose — dal 2009 al 2019 abbiamo vissuto nella Casa Madonna del Buon Consiglio, messa a nostra disposizione dalla diocesi, in attesa dei lavori di ristrutturazione dell’antico Seminario estivo». Il 28 agosto 2019 è avvenuta la solenne benedizione del convento, un luogo pensato per favorire quello che la tradizione monastica chiama contemplazione. In un certo senso, il Conclave ha costretto il mondo, anche solo per due giorni, a “contemplare”.

«Sembrano cose d’altri tempi: il comignolo, i preparativi nella cappella Sistina, e poi quel chiudersi dentro senza contatti col mondo di fuori, introdotto dal perentorio: Extra omnes!, tutti fuori! Quest’ordine ha qualcosa che sa di Vangelo. Extra omnes, fuori voi, pensieri inopportuni o frivoli! Extra omnes, fuori voi, vanità e banalità! Extra omnes, fuori voi, relazioni vuote o malsane! Extra omnes, fuori voi, giudizi temerari e parole insipienti! Le scelte importanti fioriscono in un clima da conclave. Alimentiamolo». Pensando alle prime parole di saluto Urbi et Orbi dalla Loggia delle Benedizioni di Leone XIV, agostiniano, colpiscono Le parole del Lunedì del 28 aprile scorso. «Oggi è festa grande per la nostra Famiglia Agostiniana: celebriamo Maria, madre del Buon Consiglio». Il primo gesto da vicario di Cristo di Papa Leone, il giorno della Supplica alla Madonna di Pompei, è stato recitare un’Ave Maria con il popolo di Dio. Nell’iconografia della Vergine è frequente trovare un dettaglio tenero e realistico: la mano del piccolo che stringe l’orlo della veste della mamma. «Un abbraccio, si direbbe a prima vista. In realtà è molto di più (...) il Bambino, così indifeso e fragile, in certo senso rappresenta tutta l’umanità, bisognosa di un “aggrappo” forte, sicuro: ecco il perché di quella piccola mano stretta a Maria. E noi, a cosa ci aggrappiamo? Quando avvertiamo il vuoto, o la solitudine, o la fatica di trovare il senso a tante situazioni, a quale aggrappo ricorriamo? Il Bambino, con l’intuito proprio dei piccoli, si aggrappa alla Madre: tenera, forte, sicura. A sua volta, lei, la Madre, si aggrappa alla Parola: vera, certa, fedele». In un lontano tempo di Pasqua, Agostino si aggrappò alla Parola di Dio dopo la celebrazione della Passione e Resurrezione del Signore. «Aggrapparsi ai ricordi — scrivono suor Maria Lucia Solera e le consorelle — rende nostalgici. Aggrapparsi alle cose rende dipendenti. Aggrapparsi alla Parola crea un aggancio fiducioso al futuro».