· Città del Vaticano ·

Dal «Quo vadis?» di Henryk Sienkiewicz

Quell’ultimo sguardo

Full title: Christ appearing to Saint Peter on the Appian Way
Artist: Annibale Carracci
Date made: ...
08 maggio 2025

Pubblichiamo stralci (dai capitoli lxix e lxx) dal romanzo «Quo vadis?» dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz, uscito in un unico volume nel 1896, mentre la prima traduzione italiana è del 1899.

Il giorno dopo, sull’alba, due nere figure andavano lungo la via Appia, verso la Campania. Una era Nazario, l’altra l’Apostolo Pietro, il quale lasciava Roma e i suoi correligionari martirizzati.

Il cielo all’oriente assumeva una lieve tinta di verde, listata gradualmente e più sentitamente ai margini di color zafferano. Gli alberi dalle foglie d’argento, il bianco marmo delle ville, e gli archi degli acquedotti sparsi per la pianura, sbucavano dall’ombra. Il verde del cielo si chiariva a poco a poco in una luce d’oro e l’oriente s’ammantava di un roseo che illuminava i Monti Albani, i quali parevano stupendamente belli, avvolti nel colore del giglio, come se la luce fosse stata fatta solo di raggi.

La luce era riflessa sulle tremolanti foglie degli alberi, e nelle stille di rugiada. La bruma che ondeggiava sulle case cosparse per la pianura, sui cimiteri, sui villaggi e sui gruppi d’alberi, fra i quali biancheggiavano le colonne dei templi, andava sempre più rarefacendosi ed allargando l’orizzonte.

La strada era deserta. I contadini che conducevano i legumi alla città non avevano ancora attaccati i cavalli ai veicoli, e per lo stradone, tutto lastricato di pietre fino alle montagne, non si udiva che il cupo suono dei sandali di legno dei due viandanti.

Poi apparve il sole lungo la linea dei monti e al tempo stesso gli occhi dell’Apostolo furono colpiti da una meravigliosa visione. Gli pareva che il disco dorato invece di elevarsi sul cielo calasse dalle alture verso la strada.

Pietro si fermò.

— Vedi tu, diss’egli, quello splendore di luce che si avvicina a noi?

— Non vedo nulla, disse Nazario.

Pietro si coperse allora gli occhi colle mani e un momento dopo disse:

— Qualcuno viene nella fulgidezza del sole.

Ma non si sentiva alcun rumore di passi e d’intorno signoreggiava una quiete solenne. Nazario vedeva solo ondeggiare gli alberi lontani, come se qualche individuo stesse scotendoli, mentre la luce andava sempre più diffondendosi per la pianura. Stupito guardò l’Apostolo.

— Rabbi! che hai? domandò egli spaventato.

Il bastone da pellegrino sfuggì dalle mani di Pietro e cadde in terra: i suoi occhi erano immoti sur un punto del cielo; la sua bocca era aperta; nel suo viso erano la meraviglia, l’estasi, l’incanto.

Indi si gettò sulle ginocchia, protese le braccia, ed emise un grido:

— O Cristo! O Cristo!

E si curvò colla faccia a terra, come se avesse voluto baciare i piedi di qualcuno.

Il silenzio si prolungò fino a quando il vecchio disse tra i singhiozzi:

Quo vadis, Domine?

Nazario non udì la risposta; ma all’orecchio di Pietro giunse una voce piena di una dolce mestizia.

— Se tu abbandoni il mio popolo, io andrò a Roma a farmi crocifiggere una seconda volta.

L’Apostolo rimase in terra, colla faccia nella polvere, muto e immobile.

A Nazario pareva ch’egli fosse svenuto o morto; ma si alzò alla fine, raccolse il bastone colle mani tremanti, e si volse, senza pronunciare una parola, verso i sette colli della città.

Il giovinetto, vedendo che ritornava sul cammino fatto, gli disse come un’eco:

Quo vadis, Domine?

— A Roma, disse l’Apostolo con voce sommessa.

Paolo, Giovanni, Lino e gli altri fedeli lo ricevettero sorpresi e spaventati, perché dalla sua partenza all’alba i pretoriani avevano circondato la casa di Miriam e cercato l’Apostolo. A ogni domanda egli rispondeva giubilante e sereno:

— Ho veduto il Signore.

E nella stessa sera andò al cimitero dell’Ostriano a battezzare coloro che volevano mondarsi nell’acqua della vita.

E da allora in poi vi andò ogni giorno e con lui una moltitudine che aumentava sempre. Pareva che da ogni lacrima di un martire fossero nati nuovi cristiani e che ogni gemito dell’Arena avesse trovato eco in migliaia di petti. Cesare nuotava nel sangue e Roma con tutto il mondo pagano era impazzita. Ma tutti coloro ch’erano stufi di violenze e di follie, quelli che erano calpestati, quelli che menavano un’esistenza tribolata e oppressa, tutti i vinti, tutti gli afflitti, tutti gli sfortunati accorrevano ad ascoltare la maravigliosa parola di Dio che per amore degli uomini e per redimerli dai peccati si era lasciato crocifiggere.

Trovato un Dio che potevano amare, avevano trovato ciò che la società del tempo non poteva dar loro: la felicità e l’amore.

E Pietro comprese che né Cesare, né tutte le legioni potevano trionfare sulla verità vivente, ch’essi non potevano schiacciarla nel pianto e nel sangue e che ora cominciava il trionfo. Comprese pure perché il Signore l’aveva fatto tornare indietro. La città dell’orgoglio, del delitto, della scelleratezza e della forza stava per essere Sua, per essere la doppia capitale da cui sarebbe uscito pel mondo l’impero delle anime e dei corpi.

*  *  *

Alla fine l’ora per i due apostoli era suonata. E come per completare l’opera religiosa, fu concesso al pescatore del Signore di conquistare due anime anche in prigione. I soldati Processo e Martiniano, posti a guardia dell’Apostolo nel carcere Mamertino, si fecero battezzare. Indi venne il momento della tortura. In quel tempo Nerone non era in Roma. La sentenza era stata pronunciata da Elio e da Politeto, due liberti ai quali Cesare aveva affidato il governo di Roma durante la sua assenza.

Al vecchio Apostolo erano state inflitte le sferzate prescritte dalla legge, e il giorno dopo venne trascinato fuori dalle mura, verso il Colle Vaticano, dove doveva subire il supplizio della croce. I soldati erano meravigliati di vedere tanta moltitudine adunata fuori del carcere, perché, secondo loro, un uomo comune e straniero per giunta non poteva essere di grande interesse; essi non compresero che tutta quella folla non era composta di spettatori, ma di seguaci, desiderosi di accompagnare il grande Apostolo al luogo dell’esecuzione.

Le porte si spalancarono nel pomeriggio e Pietro comparve in mezzo a uno stuolo di pretoriani. Il sole era già disceso verso Ostia; il giorno era chiaro e tranquillo. Per l’avanzata età non venne ingiunto a Pietro di portarsi la croce, perché si supponeva che non avrebbe potuto reggerla. E neppure gli si mise al collo la forca per non fargli indugiare il passo. Egli camminava senza impedimenti e i fedeli potevano vederlo benissimo.

In certi momenti, quando la sua testa canuta si faceva vedere tra gli elmetti di ferro dei soldati, si sentiva a piangere nella folla; ma il pianto cessava subito, perché la faccia del vegliardo era così serena e così gioconda, che tutti capivano non essere una vittima che andava alla morte, ma un vincitore che celebrava il suo trionfo.

E così era davvero. Il pescatore, di solito umile e curvo, incedeva dignitoso, ritto, più alto dei soldati. Nessuno aveva veduto mai tanta maestà nel suo portamento. Pietro pareva un monarca circondato dal suo popolo e dai suoi soldati. Da ogni parte si sentiva dire:

— Ecco Pietro che va dal Signore!

Tutti dimenticavano che andava a subire i tormenti della croce. Egli procedeva solenne, calmo, conscio che dalla morte sul Golgota nulla era avvenuto di più importante; e come colla prima morte si era redento il mondo, colla seconda si sarebbe redenta la città.

Lungo il cammino la gente si fermava sorpresa alla vista del vecchio; ma i credenti, mettendo loro le mani sulle spalle, dicevano calmi:

— Vedete come l’uomo giusto va alla morte; egli conobbe Cristo e predicò l’amore alle genti.

E gli astanti divenivano pensierosi e se ne andavano via dicendo a se stessi: «Egli non può, davvero, essere ingiusto!».

Lungo la strada cessavano i rumori e gli schiamazzi. Il corteo passava dinanzi le case appena edificate, fra le bianche colonne dei templi, su cui stendevasi un cielo profondo, calmo, azzurro. Andavano via silenziosi; solo di tanto in tanto si udiva lo strepito delle armi e il mormorio delle preghiere. Pietro udiva quelle preghiere e il suo viso si colorava di gioia crescente perché il suo sguardo riusciva quasi ad abbracciare tutte quelle migliaia di cristiani. Sentiva di avere fatto il proprio dovere, ed era sicuro che la verità che aveva predicata per tutta la vita avrebbe sopraffatto ogni cosa, come un mare, e che nessuna forza avrebbe potuto arrestarla. E pensando questo, alzò gli occhi e disse:

— O Signore, Tu mi hai ordinato di conquistare la città che domina il mondo ed io l’ho conquistata. Tu mi hai ordinato di fondare qui la Tua capitale ed io l’ho fondata. Questa città ora è Tua, o Signore, ed io vengo a Te, perché ho faticato molto.

E passando davanti ai templi diceva:

— Voi sarete templi di Cristo!

Guardando alle moltitudini che passavano sotto i suoi occhi, aggiungeva:

— I vostri figli saranno servi di Cristo.

Ed inoltrava colla coscienza del dovere compiuto, conscio dell’opera sua, della sua forza, confortato, grande. I soldati lo fecero passare per i Ponti Trionfali, come per dargli involontariamente la prova del suo trionfo, e lo condussero più oltre verso la Naumachia e il Circo. I fedeli al di là del Tevere si unirono al corteo, e si formò una tale calca che il centurione capì alfine che egli conduceva al patibolo un grande sacerdote, circondato dai suoi fedeli, e divenne inquieto per i pochi soldati che aveva con lui. Ma nessun grido di indignazione o di collera usciva dalla folla. Il viso degli uomini era penetrato della grandezza del momento, solenne e pieno di aspettazione. Alcuni dei credenti, ricordandosi che alla morte del Signore la terra s’aperse dalla violenza e i morti risorsero dalla tomba, pensarono che qualche segno si sarebbe manifestato anche ora, dopo il quale la morte dell’Apostolo sarebbe ricordata nei secoli. Altri si dicevano: «Forse il Signore sceglierà l’ora della morte di Pietro per discendere dal cielo, come Egli ha promesso, a giudicare il mondo». E con questa idea si raccomandavano alla misericordia del Redentore.

Ma tutto intorno regnava la calma. I colli pareva si scaldassero e riposassero nel sole. Alla fine il corteo si fermò tra il Circo e il Colle Vaticano. Alcuni soldati cominciarono a scavare la buca e alcuni altri misero in terra la croce, i martelli e i chiodi, aspettando che i preparativi fossero finiti. La folla continuava a mantenersi quieta, attenta, inginocchiata.

L’Apostolo, colla testa nei raggi del sole e nella luce dorata, si volse per l’ultima volta alla città. Lontano, in giù, splendeva il Tevere; al di là si vedeva il Campo Marzio; più in su, il Mausoleo di Augusto; più in basso i bagni giganteschi appena incominciati da Nerone; e più sotto ancora il teatro di Pompei; e al di là di tutto questo, attraverso una foresta di case, erano visibili la Septa Julia, una moltitudine di portici, di templi, di colonne e di grandi edifici, e, per ultimo ancora, più lontano, i colli gremiti di case, un immenso formicolio umano, i cui margini si perdevano nella bruma azzurra — un soggiorno di delitti, ma potente; di follie, ma autorevole — divenuta la testa e l’oppressore del mondo; ma divenuta la sua legge e la sua pace, onnipossente, invincibile, eterna.

Pietro, circondato dai soldati, guardava sulla città come un dominatore e un re guarda al suo regno. E si diceva: «Tu sei redenta e mia!». E nessuno, non solo tra i soldati che scavavano la buca per piantarvi la croce, ma nemmeno tra i credenti, indovinava che tra loro era il vero dominatore della città, piena di vita; che Cesare sarebbe scomparso, che nuove ondate di barbarie sarebbero passate su Roma, che i secoli sarebbero trascorsi, ma che quel vegliardo vi sarebbe rimasto signore in eterno.

Il sole era calato ancora di più verso Ostia, ed era divenuto più largo e più rosso, e tutto il lato occidentale del cielo splendeva di vivissima luce.

I soldati si avvicinarono a Pietro per spogliarlo. Ma lui, mentre pregava, si drizzò su tutta la persona e levò in alto la mano destra. I carnefici si fermarono come se il suo atteggiamento li avesse resi timidi; i fedeli rattennero il sospiro, pensando che egli volesse dire qualche cosa. Si fece un silenzio profondo.

Pietro, ritto, fece colla mano destra il segno della croce, benedicendo, nell’ora della morte, urbi et orbi! (la città e il mondo).

In quella stessa splendida sera un altro drappello di soldati condusse lungo la via Ostiana Paolo di Tarso, verso un luogo chiamato Aquae Salviae. E dietro lui pure andava la folla che egli aveva convertita; quando si trovava vicino qualcuna delle sue conoscenze si fermava e si metteva a discorrere, perché a lui, come cittadino romano, i pretoriani si mostravano più rispettosi. Fuori della porta chiamata Tergemina, incontrò Plautina, la figlia del prefetto Flavio Sabino; vedendo la giovine col volto irrigato di lagrime, disse: «Plautina, figlia dell’eterna salvazione, vattene in pace. Solo dammi il tuo velo con cui bendarmi gli occhi quando andrò dal Signore». E prendendolo procedeva con la faccia piena di delizia, come quella di un lavoratore che dopo avere faticato l’intero giorno con successo se ne ritorna a casa. I suoi pensieri, come quelli di Pietro, erano sereni e tranquilli come il cielo di quella sera. I suoi occhi pensosi vagavano per il piano che gli si stendeva dinanzi e per i Monti Albani, immersi nella luce. Si rammentava dei suoi viaggi, delle sue fatiche, del suo lavoro, delle lotte che aveva vinto, delle chiese che aveva fondato per tutti i paesi di là da tutti i mari; e pensava che si era guadagnato onestamente il suo riposo e che il suo lavoro era compiuto. Sentiva ora che la semente ch’egli aveva seminato non sarebbe stata soffiata via dal vento della nequizia. Egli stava per lasciare questa vita colla certezza che la verità, in nome della quale aveva dichiarato guerra a tutto il mondo, sarebbe riuscita vincitrice. E una pace immensa riempì l’anima sua.

La strada al luogo del patibolo era lunga e la sera discendeva. Le montagne s’imporporavano e la loro base si perdeva a poco a poco nell’ombra. Gli armenti ritornavano a casa. Qua e là si vedevano passare gruppi di schiavi coi ferri del mestiere sulle spalle. I fanciulli che giuocavano dinanzi le case della strada, guardavano con curiosità ai soldati che passavano. In quella sera, in mezzo a quell’aria dorata e trasparente, non regnavano solo la pace e l’amore, ma anche un’armonia che pareva assorgesse dalla terra al cielo. Paolo la sentiva; e il suo cuore era inondato di delizia al pensiero che a quell’armonia del mondo egli aveva aggiunta una nota che non c’era prima e senza della quale tutta la terra sarebbe come del rame sonoro o un cembalo tintinnante.

Si ricordava come egli aveva insegnato alla popolazione l’amore. Che aveva detto loro che anche se avessero dato i loro averi ai poveri e avessero saputo tutte le lingue e conosciuti tutti i segreti e tutte le scienze, sarebbero stati nulla senza l’amore che è buono e durevole; l’amore che non restituisce il male, che non ambisce onori, che soffre ogni cosa, crede in ogni cosa, spera in ogni cosa, è paziente di tutte le cose.

E così la sua vita era passata insegnando questa verità al popolo. Ed ora diceva a se stesso: «Quale forza le è uguale, che cosa può vincerla? Può Cesare schiacciarla, avesse per due volte tante legioni e due volte tante città, tanti mari, tante terre e tante nazioni?».

E andò a ricevere il premio come un conquistatore.

Alla fine il drappello svoltò dalla via principale verso l’est, per un sentiero che conduceva all’Aquae Salviae. Il sole fiammeggiante era ora sull’erica. Il centurione fece fermare i soldati alla fontana, perché il momento era venuto.

Paolo si mise il velo sul braccio, col proposito di bendarsi gli occhi; per l’ultima volta alzò quegli occhi, pieni di una pace indicibile, verso l’eterna luce crepuscolare e si mise a pregare. Sì, il momento era venuto, ma egli vedeva dinanzi a se la grande via luminosa che conduceva al cielo; e nell’anima sua ripeteva le stesse parole che prima egli aveva scritto, sentendo che il suo dovere era compiuto e la sua fine era vicina:

— Ho combattuto una buona battaglia, ed ho finito la mia vita; ho mantenuto la promessa, ed ora mi aspetta la corona della giustizia.