· Città del Vaticano ·

Una giornata di studio alla Pontificia Università Gregoriana

La memoria della Shoah
per sempre

 La memoria della Shoah per sempre  QUO-105
08 maggio 2025

di Eugenio Murrali

Ottant’anni fa, l’8 maggio, sul territorio europeo terminava la Seconda guerra mondiale. Oggi la trasmissione della memoria, in particolare dell’Olocausto, sta entrando in una fase delicata. Con la scomparsa dei testimoni diretti si pone il problema di come raccontare la Shoah alle nuove generazioni. A questo tema, in una data tanto significativa, è dedicata la giornata di studio Preserving Memory: The Shoah at the Crossroad of Generations (Proteggere la memoria: la Shoah al crocevia delle generazioni), organizzata oggi a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana dal Centro Cardinal Bea, con un’introduzione del pro-direttore Massimo Gargiulo, insieme all’ambasciata di Israele presso la Santa Sede e alla presenza dello stesso ambasciatore Yaron Sideman, sotto il patrocinio del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione.

Nel 2019 Papa Francesco, in una commemorazione del cardinale Augustin Bea, a cinquant’anni dalla scomparsa, si era rivolto con queste parole ai partecipanti: «Voi insegnate in un ambiente dove la vostra presenza rappresenta una novità ed è già di per sé un messaggio. Come, infatti, introdurre a un dialogo autentico senza una conoscenza dal di dentro? Il dialogo va portato avanti a due voci, e la testimonianza di docenti ebrei e cattolici che insegnano insieme vale più di tanti discorsi». In quella stessa occasione Francesco invitava a uscire dai confini della comunità scientifica per portare i frutti di tale confronto fecondo nella quotidianità. Un aspetto di questo scambio presentato nel corso della tavola rotonda è la Vatican Archives Initiative, il lavoro che l’United States Holocaust Memorial Museum (Ushmm) sta portando avanti sui circa sedici milioni di pagine rese accessibili da Papa Francesco nel 2020 e relative al periodo 1939-1958, un impegno importante che — come sottolinea Suzanne Brown-Fleming, dell’Ushmm — coinvolge numerose istituzioni e gode di collaborazioni importanti come quella con Yad Vashem, l’Ente nazionale per la memoria della Shoah a Gerusalemme.

Eliot Nidam Orvieto, di Yad Vashem, ha ricordato che «c’è ancora molto da apprendere e comprendere attorno all’Olocausto»; per questa ragione i programmi dell’ente sostengono i giovani studiosi e affrontano anche il tema dell’educazione, di come, cioè, vada trasmessa la memoria della Shoah alle nuove generazioni, tenendo conto anche delle possibilità e dei rischi rappresentati dalle nuove tecnologie, soprattutto dall’Intelligenza artificiale.

Nel corso del convegno Stefania Zezza, dell’Università di Tor Vergata, ha evidenziato l’importanza di rileggere con un approccio interdisciplinare le testimonianze orali dei sopravvissuti che sono state a lungo marginalizzate nel dopoguerra, quando persisteva una tendenza a dimenticare le ferite della storia recente. Quelle voci, che sono invece una fonte imprescindibile, vanno rilette tenendo conto di tre fattori: la deculturazione, il trauma, il linguaggio dei sopravvissuti.

Al tema della trasmissione si lega il problema della progressiva perdita di quei testimoni. Il rabbino franco-israeliano David Meyer ha parlato di una «memoria inconsolabile: penso alla profondità del dolore, della sofferenza, della perdita, del dramma e del trauma teologico che ha creato la Shoah. Se la memoria fosse “consolabile”, non sarebbe fedele a quella profondità». Ma la sfida più decisiva è nella trasmissione. Osserva Meyer: «Quando non ci saranno più i testimoni, né coloro che hanno conosciuto i testimoni, potranno i documenti trasmettere le emozioni? Questa è la domanda alla quale secondo me oggi dobbiamo rispondere».