· Città del Vaticano ·

Dalla città sul Mar Rosso la testimonianza di un missionario comboniano

I raid su Port Sudan aprono una nuova fase della guerra

A view shows a large plume of smoke and fire rising from fuel depot in Port Sudan, Sudan, May 6, ...
07 maggio 2025

di Giada Aquilino

Per il quarto giorno consecutivo, raid di droni attribuiti dall’esercito sudanese ai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) hanno preso di mira Port Sudan, sul Mar Rosso. Non era mai successo dallo scoppio del conflitto in Sudan, il 15 aprile 2023. Nella città, di fatto capitale temporanea del Paese africano dall’inizio delle operazioni belliche, sono stati colpiti l’aeroporto e una base militare, provocando significativi incendi e colonne di fumo, innalzatesi pure sia dal principale deposito petrolifero sia dalla più grande base navale. «La situazione è molto preoccupante perché Port Sudan era diventata un rifugio, un “posto sicuro” per migliaia di persone che avevano sperimentato la violenza della guerra e che erano state costrette a fuggire dalle loro terre, ma anche per le organizzazioni umanitarie, che qui si sono installate per operare e servire la popolazione», testimonia padre Jorge Naranjo, direttore del Comboni college of science and technology a Port Sudan.

In via precauzionale il Servizio aereo umanitario delle Nazioni Unite ha temporaneamente sospeso i voli da e per la città. Un quadro che aggrava la più grande crisi di sfollamento al mondo, come l’Onu ha definito quella in Sudan, con quasi 13 milioni di sfollati e oltre 3 milioni di profughi fuggiti nelle nazioni limitrofe. A Port Sudan «l’elettricità manca da più di due settimane perché erano stati colpiti la centrale idroelettrica di Meroë, dove sorge una diga sul Nilo, e dei trasformatori che distribuivano l’energia elettrica a tutto il Paese». Adesso, aggiunge il missionario comboniano spagnolo, in Sudan dal 2008, sono stati presi di mira «anche i depositi di gas e di benzina», il che fa pensare che «a breve» mancheranno pure i carburanti».

L’esercito agli ordini del generale Abdel Fattah al-Burhan, che da poco ha riconquistato la capitale Khartoum, in oltre due anni di guerra aveva di fatto consolidato il proprio controllo nel nord e nell’est del Paese, con i paramilitari del generale Mohamed Hamdan Dagalo più presenti invece nella regione occidentale del Darfur e in alcune parti del sud. Ora comincia invece «una nuova fase di questa guerra», osserva padre Jorge, riflettendo su un afflusso di armi che non si è mai fermato e riferendo la ricostruzione delle ultime vicende fornita dai militari. «Le Forze di supporto rapido hanno ricevuto dei droni tecnologicamente più avanzati e capaci di percorrere distanze più lunghe, il che fa pensare ad attacchi a distanza. Secondo il portavoce dell’esercito, sembra che gli attacchi siano venuti da est, da una base di Bosaso, in Somalia».

Sul terreno comunque rimane l’emergenza a Port Sudan, che è stata la via d’ingresso degli aiuti umanitari negli oltre due anni di guerra. «Si può pensare — riflette il missionario comboniano — che negli uffici delle organizzazioni internazionali a Port Sudan si discuta un piano di evacuazione», mentre è cresciuto vertiginosamente il numero degli sfollati che lì hanno trovato rifugio. «Prima dalla guerra, la città aveva 350.000 abitanti e le statistiche dicono che adesso ce ne sono il doppio, attorno alle 700.000 persone. Ma le organizzazioni internazionali dovessero lasciare il Paese, la crisi umanitaria, già gravissima, peggiorerebbe ulteriormente».

In un contesto di tanta instabilità, in cui «le parti che combattono in Sudan non hanno al momento un atteggiamento aperto alla negoziazione e al dialogo», è allora ancora più importante per i missionari continuare ad esserci, ricordando al contempo gli appelli levati da Papa Francesco per la pace nel Paese africano, rimasti — non ha dubbi padre Jorge — davvero «nei cuori della gente».