· Città del Vaticano ·

Extra omnes

 Extra  omnes  QUO-103
06 maggio 2025

di Paolo Ruffini

Extra omnes. Tutti fuori. Succede, in questo tempo sospeso, che tutti nel mondo si interroghino su chi sarà il 267° vescovo di Roma. Tutti coinvolti, anche se fisicamente esclusi dal luogo dove i successori degli apostoli divenuti cardinali, raccolti e custoditi nel segreto di una Cappella, sceglieranno il servo dei servi di Dio chiamato a guidare la Chiesa.

Servo. Servo di un unico Popolo di cui Pietro faceva e continuerà a far parte, anche dopo essere stato chiamato a guidarlo.

Servo. E qui è il mistero. Come può un servo essere a capo di un popolo? Di una Chiesa?

Una domanda alla quale Gesù rispose con parole che ancora oggi fatichiamo a comprendere: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 42-45).

Servire dunque. A questo sono chiamati i successori di Pietro per guidare la Chiesa. E questo paradosso disorienta. Confonde sia i media che i tanti centri di potere, piccoli e grandi, del mondo nel mentre che si arrovellano sull’identità e sul nome che prenderà chi potrà essere il prescelto, e provano magari anche ad influenzare la decisione, disegnando scenari e chiavi di lettura che appaiono scritti sulla sabbia.

Extra omnes. Questa regola scompagina questo tempo sospeso fra l’ora e il non ancora in cui anche i cardinali (il popolo di Dio che attende il suo pastore lo sa, lo crede, lo chiede) sono chiamati a entrare nel mistero; e lasciare non solo tutti, ma tutto fuori dalla Sistina: dunque se stessi, i loro pensieri, i loro ragionamenti; e a svuotarsi totalmente per lasciare spazio solo allo Spirito, a una dinamica che li trascende, e al mistero di Pietro.

Ma Pietro è questo. Un mistero che ci affida una certezza.

Pietro è il pescatore al quale Gesù promise che il male non avrebbe vinto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18).

È l’apostolo per il quale — nell’affidargli la sua Chiesa — il Figlio di Dio pregò rivolgendo una raccomandazione speciale al Padre. Perché lo sorreggesse nel portare sulle spalle un peso altrimenti troppo grande.

Pietro è un uomo sorretto da questa preghiera che si è estesa nel tempo e nella storia sui suoi successori per arrivare sino a noi, oggi. Una preghiera concreta, speciale appunto: perché la fede non venisse mai meno di fronte alle prove che avrebbe dovuto affrontare, così diverse e così simili a quelle del nostro tempo, secolarizzato, diviso, polarizzato, confuso, incattivito; pieno di desiderio di comando e povero di amore, incapace di capire il valore di un servizio e del bene comune, gonfio di certezze fragili e di false verità, imbevuto più di rancori che di misericordia, così tanto spesso desideroso più di vendette che di perdono: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32).

Pietro è un mistero di misericordia e di amore; di comunione e di ascolto.

Un pescatore che sbaglia i suoi calcoli; che turbato se ne sta tutta la notte in mare senza prendere un solo pesce; che poi getta le reti dall’altra parte, solo sulla parola di uno sconosciuto. E che alla fine comprende che chi parla è il suo Maestro.

Pietro è un peccatore perdonato: è il prescelto che prima di gioire ha pianto amaramente, dopo aver tradito. Come Giuda. Ma lui piange. Ha pianto.

Nelle sue lacrime c’è tutto il suo mistero. E c’è il mistero della Chiesa. Quelle lacrime sono forse le chiavi del Regno. Sono le chiavi di Pietro e del suo mistero: una fragilità potente proprio perché non brilla di luce propria. Una roccia anche se non lo era. Che proprio per questo ci conferma tutti nella fede.