· Città del Vaticano ·

La paternità di Pietro

 La paternità  di Pietro  QUO-102
05 maggio 2025

di Andrea Tornielli

Nelle ore intense che precedono l’inizio del Conclave chiamato ad eleggere il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro vale la pena ricordare un aspetto fondamentale del servizio del Vescovo di Roma, particolarmente percepito dal popolo di Dio: la paternità. Milioni di persone, nel momento dell’inaspettato annuncio della morte di Francesco, si sono sentite orfane di un padre.

Sull’esperienza della paternità rifletteva Paolo vi dialogando con l’amico filosofo Jean Guitton, al ritorno dal suo viaggio in India del dicembre 1964. Il Pontefice era stato salutato per strada al suo arrivo da più di un milione di persone appartenenti a tutte le religioni. Un abbraccio indimenticabile. La folla invadeva la strada, assediava la Lincoln col tetto apribile che Paolo vi avrebbe poi lasciato in dono a Madre Teresa di Calcutta. Per due ore, senza alcuna sosta, Papa Montini salutava e benediceva. Ricordando quell’incontro con la folla, il Papa confiderà a Guitton: «Credo che di tutte le dignità di un Papa, la più invidiabile sia la paternità. Mi è capitato di accompagnare Pio xii nelle cerimonie solenni. Si gettava nella folla come nella piscina di Betsaida. Gli si stringevano contro, gli strappavano la veste. E lui era radioso. Riprendeva forza. Ma tra l’essere testimone di una paternità e l’essere personalmente padre c’è come il mare. La paternità è un sentimento che invade lo spirito e il cuore, che ci accompagna a ogni ora del giorno, che non può diminuire, ma che si accresce, perché si accresce il numero dei figli».

Non si tratta, aggiungeva Paolo vi, «tanto di una funzione quanto di una paternità. E non si può cessare di essere padre... Mi sento padre di tutta l’umanità... E questo sentimento nella coscienza del Papa è sempre nuovo, sempre fresco, allo stato nascente, sempre libero e creativo. È un sentimento che non affatica, che non stanca, che riposa da ogni stanchezza. Mai, neanche un momento, mi sono sentito stanco, quando ho alzato la mano per benedire. No, io non mi stancherò mai di benedire o di perdonare. Quando sono arrivato a Bombay, c’erano da percorrere venti chilometri per raggiungere la sede del Congresso. Folle immense, sterminate, dense, silenziose, immobili, inquadravano la strada — folle spirituali e povere, quelle folle avide, pigiate, svestite, attente che si vedono solo in India. Dovevo continuare a benedire. Un amico sacerdote, che mi era vicino, credo che alla fine mi sostenesse il braccio, come il servitore di Mosè. Eppure io non mi sento superiore, ma fratello, inferiore a tutti perché porto il peso di tutti».

Il Successore di Pietro è un fratello, “inferiore a tutti” perché porta il peso di tutti. Alcuni mesi prima di quella esperienza in India, Paolo vi aveva già provato che cosa significasse essere letteralmente “inghiottito” dall’abbraccio della gente. Era il gennaio 1964, durante il suo primo viaggio apostolico, quello in Terra Santa. Un viaggio fortemente voluto da Papa Montini. A Gerusalemme presso la Porta di Damasco, c’era una folla talmente numerosa da impedire lo svolgimento dell’accoglienza secondo il programma stabilito. La stessa automobile del Papa ondeggiava come una barca ed egli, uscito a fatica e protetto dai soldati di Re Hussein, aveva varcato a stento la Porta di Damasco senza la possibilità per i collaboratori del seguito di affiancarlo. Paolo vi percorse l’intera Via Dolorosa tra la calca della gente stipata fino all’inverosimile negli antichi vicoli della Città Santa. A volte sembrava finire inghiottito dalla folla. Il suo volto rimase sempre sereno e sorridente, mentre sollevava le mani benedicenti.

Padre Giulio Bevilacqua, amico personale del Pontefice, quella sera rivelerà a un gruppo di giornalisti radunati fuori della Delegazione apostolica di Gerusalemme che molti anni prima Giovanni Battista Montini gli aveva confidato: «Sogno un Papa che viva libero dalla pompa della corte e dalle prigionie protocollari. Finalmente solo in mezzo ai suoi diaconi». Ecco perché, aveva concluso Bevilacqua, «sono convinto che oggi, sebbene travolto dalla folla, egli sia più contento di quando scende in San Pietro sulla sedia gestatoria…». (andrea tornielli)