· Città del Vaticano ·

Nell’ottavo Novendiale la messa del cardinale Fernández Artime in basilica Vaticana

L’invito del Papa a svegliare
il mondo e a riconoscere
il Signore tra gli ultimi

 L’invito del Papa a svegliare il mondo  e a riconoscere il Signore tra gli ultimi   QUO-102
05 maggio 2025

«Mi attendo che svegliate il mondo, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia»: l’invito lanciato da Papa Francesco nell’Anno della Vita consacrata è stato rilanciato dal cardinale salesiano Ángel Fernández Artime, già pro-prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, presiedendo nella basilica Vaticana, nel pomeriggio di sabato 3 maggio, la messa nell’ottavo giorno dei Novendiali. Il porporato spagnolo ha richiamato anche gli inviti del compianto Pontefice a conservare «un cuore e uno spirito» puri e liberi per riconoscere Dio soprattutto tra «i più poveri, gli ultimi, gli scartati». Alla celebrazione, svoltasi all’altare della Confessione, sono stati invitati in particolare i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica. Hanno concelebrato anche i porporati presenti a Roma per le Congregazioni generali in vista del Conclave. Al momento della preghiera eucaristica, al celebrante principale si sono uniti all’altare il cardinale João Braz de Aviz, prefetto emerito del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e padre Arturo Sosa Abascal, preposito generale della Compagnia di Gesù, cui apparteneva Papa Bergoglio. Nella celebrazione vespertina della iii domenica di Pasqua, la liturgia della Parola, in lingua italiana, è stata scandita dalla prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (At 5, 27b-32. 40b-41), dal Salmo 29 «Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato» e dalla seconda Lettura tratta dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 5, 11-14). Il Vangelo proclamato è stato quello di Giovanni (21, 1-19). Durante la preghiera dei fedeli, sono state elevate intenzioni per il defunto Papa Francesco, affinché il Signore lo ammetta nel Suo «regno di vita e d’amore»; per «i missionari, i catechisti e gli evangelizzatori», perché Dio Padre benedica la loro opera e doni «alla Chiesa numerose e sante vocazioni al sacerdozio». Prima della benedizione finale impartita dal celebrante principale, il gesuita Cristóbal Fones, direttore internazionale della Rete mondiale di preghiera del Papa, ha intonato il canto «Tu modo», basato su un testo del servo di Dio padre Pedro Arrupe Gondra, ventottesimo preposito generale dei gesuiti. Pubblichiamo una trascrizione dell’omelia del cardinale Fernández Artime.

Sorelle e Fratelli carissimi,

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori insegna che pregare per i morti è la più grande opera di carità.

Quando aiutiamo materialmente i nostri vicini, condividiamo beni effimeri, ma quando preghiamo per loro lo facciamo con beni eterni. In modo simile è vissuto il Santo Curato d’Ars, patrono universale dei sacerdoti.

Pregare per i morti significa, quindi, amare coloro che sono morti ed è ciò che facciamo ora per Papa Francesco, radunati come Popolo di Dio, insieme ai pastori e in modo particolare questa sera con una presenza molto significativa di consacrate e consacrati.

Il Santo Padre Francesco si è sentito molto ben voluto dal Popolo di Dio e sapeva che anche gli appartenenti alle diverse espressioni della vita consacrata lo amavano; pregavano per il suo ministero, per la persona del Papa, per la Chiesa, per il mondo.

In questa terza Domenica di Pasqua tutto invita a gioire, a esultare. Il motivo è dato dal Signore Risorto e dalla presenza dello Spirito Santo. Sant’Atanasio afferma che Gesù Cristo risorto fa della vita dell’uomo una festa continua. Ed è per questo che gli Apostoli — e Pietro primo fra loro — non hanno paura del carcere, né delle minacce né di essere nuovamente perseguitati. E infatti dichiarano con coraggio e franchezza: «Di queste cose noi siamo testimoni come anche lo Spirito Santo che Dio ha mandato a coloro che gli obbediscono».

«Io mi domando — diceva Papa Francesco, in una delle sue catechesi su questo stesso brano — dove trovano i primi discepoli la forza per questa loro testimonianza. Non solo, ma da dove veniva a loro la gioia e il coraggio dell’annuncio malgrado gli ostacoli e le violenze?».

È chiaro che solo la presenza, con loro, del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto. La loro fede si basava su una esperienza così forte e personale di Cristo, morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno. «Oggi, come ieri, gli uomini e le donne della presente generazione hanno grande bisogno di incontrare il Signore e il suo liberante messaggio di salvezza» diceva san Giovanni Paolo ii, in occasione del Giubileo della Vita consacrata il 2 febbraio 2000, rivolgendosi ai religiosi e alle religiose di tutto il mondo, e aggiungeva: «Ho potuto rendermi conto del valore della vostra presenza profetica per l’intero popolo cristiano e rendo volentieri atto, anche in questa circostanza, all’esempio di generosa dedizione evangelica offerto da innumerevoli vostri confratelli e consorelle che spesso operano in situazioni disagevoli. Essi si spendono senza riserve nel nome di Cristo al servizio dei poveri, degli emarginati e degli ultimi».

Fratelli e sorelle, è vero che tutti noi, tutta questa assemblea in quanto battezzati, siamo chiamati ad essere testimoni del Signore Gesù, morto e risorto. Ma è altrettanto vero che noi, consacrati e consacrate, abbiamo ricevuto questa vocazione, questa chiamata al discepolato che ci chiede di testimoniare il primato di Dio con tutta la nostra vita. Questa missione è particolarmente importante quando — come oggi in molte parti del mondo — si sperimenta l’assenza di Dio o si dimentica troppo facilmente la sua centralità. Allora possiamo assumere e fare nostro il programma di san Benedetto Abate, sintetizzato nella massima «nulla anteporre all’amore di Cristo».

È stato il Santo Padre Benedetto xvi a sfidarci in questo modo: all’interno del Popolo di Dio le persone consacrate sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia.

Siamo chiamati, in ragione del nostro Battesimo e per la professione religiosa, a testimoniare che solo Dio dà pienezza all’esistenza umana e che, conseguentemente, la nostra vita deve essere un segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi.

Siamo, dunque, chiamati ad essere nel mondo segno credibile e luminoso del Vangelo e dei suoi paradossi. Senza conformarci alla mentalità di questo secolo, ma trasformandoci e rinnovando continuamente il nostro impegno.

Nel Vangelo abbiamo ascoltato che il Signore Risorto attendeva i suoi discepoli in riva al mare. Il racconto dice che quando tutto sembrava finito, fallito, il Signore si è reso presente, è andato incontro ai suoi, i quali — pieni di gioia — sono riusciti ad esclamare per bocca del discepolo che Gesù amava: «È il Signore». In questa espressione cogliamo l’entusiasmo della fede pasquale, piena di gioia e di stupore, che contrasta fortemente con lo smarrimento, lo sconforto, il senso di impotenza fino ad allora presente nell’animo dei discepoli.

È solo la presenza di Gesù Risorto che trasforma ogni cosa: il buio è vinto dalla luce; il lavoro inutile diventa nuovamente fecondo e promettente; il senso di stanchezza e di abbandono lascia il posto a un nuovo slancio e alla certezza che Lui è con noi.

Quanto accaduto per i primi e privilegiati testimoni del Signore può e deve diventare programma di vita per tutti noi.

Papa Francesco diceva nell’Anno della Vita consacrata: «Mi attendo che svegliate il mondo, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia». E ci chiedeva di essere testimoni del Signore come Pietro e gli Apostoli, anche di fronte all’incomprensione del Sinedrio di un tempo o degli areopaghi senza Dio di oggi. Ci domandava di essere come la sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora. Ci chiedeva di avere un cuore e uno spirito abbastanza puro e libero per riconoscere le donne e gli uomini di oggi, i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto i più poveri, gli ultimi, gli scartati, perché in loro c’è il Signore e in modo che con la nostra passione per Dio, per il Regno e per l’umanità, saremo in grado come Pietro, di rispondere al Signore: «Signore, tu sai tutto! Tu sai che ti amo».

Maria, Madre della Chiesa conceda a tutti noi la grazia di essere oggi discepoli missionari, testimoni di Suo Figlio in questa sua Chiesa che — sotto la guida dello Spirito Santo — vive nella speranza, perché il Signore Risorto è con noi fino alla fine dei tempi.