Il Papa, la pace

Pubblichiamo la riflessione di un pellegrino che ci arriva dal santuario del memoriale di Mosè sul Monte Nebo in Giordania.
di Luigi Gianniti
Vento carico di sabbia offusca l’orizzonte maestoso. La valle del Giordano, il Mar morto a sinistra e giù Gerusalemme, davanti Gerico: la terra promessa, qui dove termina il viaggio di Mosè. Tre francescani della Custodia di Terra Santa, da un secolo custodi delle memorie del luogo insieme alla famiglia beduina che ha venduto la sua proprietà ai francescani, continuando ad abitarvi da tre generazioni: insieme cristiani e musulmani.
Da allora, dal 1930 un’attenta opera di recupero: i resti di una chiesa bizantina e lì mosaici semplici, geometrie, scene di caccia, volti che ti guardano in pace. Una pietra miliare romana, una stele più antica del nono secolo avanti Cristo, che ricorda lo sterminio di settemila abitanti: una spietata carneficina che non risparmiò bambini e gestanti. E prima ancora nel tempo le parole di altre guerre, di altro sangue con cui si apre il Deuteronomio, che si chiude qui con la morte di Mosè. Migliaia di anni di storie. Ora il tempo della riflessione, nel silenzio di un convento. Dove ogni giorno si ripete l’abbraccio tra Francesco e il Sultano, nel luogo dove Mosè infine guardò la terra promessa.
Mi ritrovo qui quando a Roma si onora il passaggio del suo vescovo Francesco.
È possibile allora andare oltre, vedere al di là dei conflitti, pensare a una convivenza serena nella pace tra tutti gli uomini e le donne. Come nel grande mosaico qui a Nebo: uomini di culture e religioni diverse, immersi nella natura, ciascuno con il proprio vestito, che ci guardano diretti, fissi negli occhi.