La “cristiana umanità”

«La “cristiana umanità” rende la chiesa casa di tutti»: è il cuore dell’omelia pronunciata ieri pomeriggio, 29 aprile, dal cardinale Mauro Gambetti nel quarto giorno dei Novendiali. Il porporato ha presieduto, all’altare della Confessione della basilica Vaticana di cui è arciprete, la messa in suffragio di Papa Francesco, ricordandone in particolare «l’attualità» delle parole pronunciate a Lisbona nella Gmg del 2023: «Tutti tutti tutti sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai!». Aperto dalla processione iniziale il rito, al quale sono stati invitati in particolare i Capitoli delle basiliche papali, è stato concelebrato in San Pietro anche dai porporati presenti a Roma per prendere parte alle Congregazioni generali in vista del Conclave. Al momento della preghiera eucaristica, al celebrante principale si sono uniti all’altare i cardinali Rolandas Makrickas, arciprete coadiutore di Santa Maria Maggiore — dove è sepolto Jorge Mario Bergoglio —, James Harvey, arciprete di San Paolo fuori le Mura, e Baldassare Reina, arciprete di San Giovanni in Laterano e vicario generale per la diocesi di Roma. La liturgia della Parola, in lingua italiana, è stata scandita dalla prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (10, 34-43) e dal Salmo 88 «Canterò in eterno l’amore del Signore». Il Vangelo proclamato è stato quello di Matteo (25, 31-46). Durante la preghiera dei fedeli, sono state elevate intenzioni particolari per il defunto Papa Francesco, affinché il Signore lo accolga nel suo «abbraccio misericordioso, donagli di godere la perfetta comunione della Trinità»; e per tutti i popoli, perché il Padre li difenda «dalla violenza, dall’odio e dall’egoismo, e governanti e cittadini edifichino insieme la civiltà dell’amore». Ecco l’omelia del cardinale Gambetti.
Il brano del vangelo è noto. Una scena grandiosa dal carattere universalistico: tutti i popoli, che vivono insieme nell’unico campo che è il mondo, sono radunati davanti al Figlio dell’Uomo, seduto sul trono della sua gloria per giudicare.
Il messaggio è chiaro: nella vita di tutti, credenti e non credenti, indistintamente, vi è un momento di discrimine: a un certo punto alcuni iniziano a partecipare della stessa gioia di Dio, altri cominciano a patire la tremenda sofferenza della vera solitudine, perché, estromessi dal Regno, restano disperatamente soli nell’anima.
Nella traduzione italiana (Cei) si parla di pecore e di capre per distinguere i due gruppi. Il greco però, accanto al femminile próbata — gregge, pecore —, utilizza èrífia, che indica principalmente i capri, i maschi della specie. Le pecore, che non si ribellano, sono fedeli, miti, hanno cura degli agnellini e delle più deboli del gregge, entrano nel regno preparato per loro fin dalla creazione del mondo; i capri, che vogliono l’indipendenza, sfidano con le corna il pastore e gli altri animali, saltano sopra le altre capre in segno di dominio, davanti a un pericolo pensano a sé e non al resto del gregge, sono destinati al fuoco eterno. È naturale chiedersi: a livello personale e istituzionale quale dei due stili incarniamo?
Evidentemente, poi, l’appartenenza o meno al Regno di Dio non dipende dall’esplicita conoscenza di Cristo: Signore, quando ti abbiamo visto affamato… assetato… straniero… nudo… malato o in carcere…?
Nel testo greco il verbo ‘vedere’ è espresso da Matteo con òráo, che significa vedere in profondità, percepire, comprendere. Parafrasando: Signore, quando ti abbiamo ‘capito’, ‘individuato’, ‘qualificato’? La risposta di Gesù lascia intendere che non è la professione di fede, la conoscenza teologica o la prassi sacramentale a garantire la partecipazione alla gioia di Dio, ma il coinvolgimento qualitativo e quantitativo nella vicenda umana dei fratelli più piccoli. E la cifra dell’umano è la regalità di Gesù di Nazaret, che nella sua vita terrena condivise in tutto la debolezza della nostra natura, fino ad essere rifiutato, perseguitato e crocifisso.
In fin dei conti, la parabola del giudizio universale manifesta il segreto sul quale si regge il mondo: il Verbo si fece carne, cioè “Dio ha voluto farsi solidale con l’umanità a tal punto che chi tocca l’uomo tocca Dio, chi onora l’uomo onora Dio, chi disprezza l’uomo disprezza Dio” (Elia Citterio).
La parabola infatti rivela la suprema dignità degli atti umani, definiti in rapporto alla compassione, alla solidarietà, alla tenerezza, alla prossimità in umanità. Ritrovo nei versi con cui Edith Bruck ha voluto porgere il suo commiato a Papa Francesco («L’Osservatore Romano», 23 aprile 2025), l’espressione poetica di cotanta umanità:
Abbiamo perso un Uomo
che vive in me.
Un uomo che amava, si commuoveva,
piangeva, invocava la pace, rideva,
baciava, abbracciava, si emozionava
ed emozionava, spargeva calore.
L’amore della gente di qualsiasi colore
e ovunque lo ringiovaniva.
L’ironia e lo spirito lo rendevano saggio.
La sua umanità era contagiosa,
inteneriva anche le pietre.
Dalle malattie a guarirlo
era la sua fede sana radicata nel cielo.
La “cristiana umanità” rende la chiesa casa di tutti. Quanto sono attuali le parole di Francesco pronunciate nel colloquio con i Gesuiti a Lisbona nel 2023: Tutti tutti tutti sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai!
Come riportano gli Atti degli Apostoli, Pietro lo aveva asserito chiaramente: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.
Il brano della prima lettura è la conclusione dell’incontro di Pietro con dei pagani, Cornelio e la sua famiglia (At 10); un episodio che, in un’epoca globalizzata, secolarizzata e assetata di Verità e di Amore come la nostra, attraverso l’atteggiamento di Pietro addita la via dell’evangelizzazione: l’apertura all’umano senza riserve, l’interessamento gratuito agli altri, la condivisione del vissuto e l’approfondimento per aiutare ogni uomo e ogni donna a dare credito alla vita, alla grazia creaturale, e, quando vedranno che piace a Dio — direbbe san Francesco d’Assisi (Rnb xvi, 43) —, l’annuncio del Vangelo, ovvero il rivelarsi dell’umanità divina di Gesù nella storia, per chiamare le genti alla fede in Cristo, ‘folle d’amore’ per l’uomo, come insegna Santa Caterina da Siena di cui ricorre oggi la Festa in Italia. Allora potrà dispiegarsi per tutti il pieno valore della professione di fede, della sana teologia e dei sacramenti che arricchiscono di ogni grazia la vita nello spirito.
Maria, l’umile ancella del Signore che ha dato al mondo il Salvatore, ci additi la via dell’autentico discepolato e dell’annuncio.