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Pellegrini di Speranza L’esperienza di attraversare la Porta Santa aperta dal Papa nel carcere romano di Rebibbia

Riconciliare il mondo di dentro con quello di fuori

 Riconciliare  il mondo   di dentro    con quello  di fuori  ODS-032
17 maggio 2025

di Daniele Mureddu e Matteo Frascadore

Liberare la speranza che abita il carcere. Liberarla dal pietismo di chi — da fuori — la considera come un sentimento consolatorio utile ad alleviare le pene della vita dei reclusi. E liberarla dalla sfiducia di chi — da dentro — pensa di non meritarla. Liberarla, per portarla nelle parrocchie e nelle strade della città come un dono che ci ricorda che siamo tutti figli di uno stesso padre, un padre misericordioso, compassionevole e che non smette mai di esserci vicino.

È questa l’esperienza vissuta da una cinquantina di giovani, tra i quali molti scout, della parrocchia romana di Santa Maria delle Grazie al Trionfale che, a marzo, sono entrati nella casa di reclusione di Rebibbia per attraversare la Porta Santa che Papa Francesco ha voluto aprire proprio lì, il 26 dicembre scorso. Il loro è stato il primo di gruppo di “esterni” che ha potuto celebrare il Giubileo nel carcere, raccogliendo l’invito del Servizio per la pastorale carceraria della diocesi a costruire ponti per dare testimonianza concreta dell’attenzione della Chiesa verso i fratelli e le sorelle reclusi.

Per i ragazzi è stata un’esperienza forte, che ha lasciato il segno. Non solo ha permesso di confrontarsi con una realtà lontana dalla loro quotidianità — tutti sono rimasti molto colpiti dal fatto che, per entrare nel carcere, abbiano dovuto lasciare in custodia all’ingresso i loro telefonini —, ma soprattutto ha dato modo di incontrare e conoscere un’umanità che non è diversa dalla loro, anzi, che è capace di insegnare qualcosa che troppo spesso viene trascurato o dato per scontato.

«Abbiamo sentito parole di speranza — racconta uno dei giovani —, la speranza di una vita semplice, ma completa nella quale è centrale essere al servizio degli altri. Una delle persone che abbiamo incontrato fa il giardiniere e ci ha fatto capire come dare valore anche a cose all’apparenza piccole come la cura dei fiori in un giardino».

«Ci ha colpito molto — racconta un altro ragazzo — la testimonianza di una persona detenuta che, con orgoglio, ci ha parlato del suo lavoro nell’orto del carcere e di quanto lo renda felice poter offrire agli altri il frutto del proprio lavoro». La condivisione è un altro segno di speranza che i giovani hanno appreso e che ha spazzato via quel «pregiudizio che spesso abbiamo nei confronti delle persone recluse».

Accompagnati dal Vescovo ausiliare Benoni Ambarus — per tutti semplicemente don Ben —, i ragazzi hanno partecipato alla celebrazione eucaristica con i detenuti. Raccontano che erano disposti su file diverse — loro da una parte, le persone recluse dall’altra —, ma al momento dello scambio di un segno di pace le distanze si sono azzerate. Molti detenuti si sono avvicinati: «Si percepiva la genuinità in quello che stavano facendo», un gesto semplice, ma intriso di autenticità.

Poi, raccontano i ragazzi, «ci hanno ringraziato per essere andati lì, semplicemente per aver condiviso con loro il nostro tempo». Un “grazie” per niente scontato, ma che dimostra come incontri come questi possano rappresentare un momento autentico di riconciliazione tra il mondo “di dentro” e il mondo “di fuori”. Una riconciliazione di cui si avverte sempre più il bisogno affinché il carcere rispecchi veramente quello che è indicato nella Costituzione e non sia il luogo degli scartati.

Dare valore a ciò che è semplice e puro, anche dentro le mura di un penitenziario, è già un passo verso un’esistenza riconciliata. «Una volta scontata la condanna — riflette uno dei giovani — le persone che abbiamo incontrato troveranno un mondo diverso da quello che hanno lasciato. Molti sono in carcere da anni. Ma la loro speranza è quella di potersi reinserire, anche senza sapere esattamente come sarà il domani. E per questo c’è bisogno di comunità che sappiano accogliere e accompagnare».

Nei ragazzi della parrocchia di Santa Maria delle Grazie al Trionfale il pellegrinaggio a Rebibbia ha lasciato un segno profondo. Sono tornati nelle loro case e tra i loro coetanei cambiati. Anche loro che appartengono alla generazione Z e che spesso gli adulti considerano immersi in un mondo solo virtuale hanno potuto confrontarsi con le parole di Gesù che continua a ripeterci: ero carcerato e siete venuti a trovarmi.