22 maggio, festa di Santa Rita: la paciera che sfidò

Margherita Lotti – passata alla storia come Rita – nasce a Roccaporena, castello ghibellino del contado di Cascia, probabilmente nel 1381. È figlia di Amata e Antonio, anziani genitori che svolgono, su incarico del comune, la funzione di pacieri. È su questa funzione, su questa attitudine a operare la pace, che credo si fondi la forza che porta Rita alla santità. In un tempo di contese, di contrapposizioni tra guelfi e ghibellini, i Lotti mediano tra le avverse fazioni, compongono controversie, si prodigano per spezzare le spirali di vendetta di cui la società è intrisa: una morte ne pretende un’altra, un assassinio ne reclama uno nuovo, in un crescendo di violenza che può giungere a quel parossismo di devastazione di cui oggi siamo testimoni.
Educata alla pace, Rita opera la pace anche nel suo quotidiano: sposa Paolo Mancini, un ghibellino dai trascorsi violenti, riesce a mitigarne il carattere e a condurre con lui una vita serena, arricchita dalla nascita di due figli. Una serenità che non dura a lungo: Paolo, forse per fatti risalenti al passato, viene ucciso e la sua famiglia ne pretende la vendetta. Rita si oppone. Perdona gli assassini, chiede alla famiglia di fare altrettanto, ma inutilmente. Quella della vendetta è una prassi tutta umana a cui i Mancini non vogliono sottrarsi. Lei, allora, implora Dio perché almeno i suoi figli non commettano crimini. I giovani moriranno poco dopo di malattia, uno dopo l’altro. La morte di un figlio è il dolore più grande, la pena senza consolazione. Può la morte farsi salvezza? Può la perdita di un figlio rientrare nel disegno di un Dio dalle vie imperscrutabili?
Rita resta ferma nei suoi propositi, forte delle parole del Cristo – “Beati gli operatori di pace” – che continueranno a segnare la sua vita. Entrerà in monastero, darà prova d’ubbidienza innaffiando un secco tralcio di vite che riprenderà a fruttare; prossima alla morte, chiederà a una parente di cogliere per lei, nel suo podere, una rosa e due fichi. È un gelido inverno, è impossibile che fioriscano rose, che maturino fichi. La donna andrà ugualmente, troverà la rosa e coglierà i fichi. Segno, quest’ultimo, che Rita interpreterà come assicurazione divina sulla sorte di figli e marito: sono salvi nell’Altrove in cui ha sempre creduto. La sua agiografia è ricca di altri segni prodigiosi, api bianche che svolazzano intorno alla sua culla, api nere che ne accompagnano il trapasso. E miracoli. Innumerevoli. Tanti che portano il popolo ad acclamarla come Santa degli impossibili.
Santa, dunque. Una santa paciera, è così che mi piace soprattutto ricordarla. Pur essendo stata toccata dalla violenza, infatti, ha continuato a opporsi ad essa, a praticare il perdono perseguendo la pace, quell’indispensabile pace così difettosa nel nostro tempo di conflitti ardenti, di corse al riarmo, di città rase al suolo, di diritti violati, di morti, innumerevoli morti.
Si spense nel 1457, il 22 maggio che è diventato il giorno della sua festa liturgica.
di Tea Ranno
Scrittrice