· Città del Vaticano ·

L’adolescenza “ribelle” scopre la speranza nel dolore per il Pontefice

Uno di noi

 Uno di noi  QUO-097
28 aprile 2025

di Edoardo Giribaldi

I «paradossi» del nostro tempo sono stati spesso accolti, quasi accarezzati, dallo sguardo vigile di Papa Francesco, capace di leggerli senza giudizio, con la comprensione di chi cammina tra gli uomini. Il più evidente, il più crudele, resta quello della disuguaglianza: «Quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere». Eppure, forse, esistono anche paradossi buoni, capaci di scardinare lo status quo, come Francesco ha sovente inteso fare, e di ridare senso perfino al dolore. Paradossi che risplendono sotto la luce fragile della speranza — quello stesso valore che appare di fatto paradossale in un mondo così bene abituato alle bruttezze.

Urla, sorrisi, qualche parolaccia lanciata per sentirsi più grandi. Via della Conciliazione non è cambiata, ma ieri, domenica 27 aprile, percorrerla trasmetteva una sensazione diversa. Solo il giorno prima, su quella stessa strada, il mondo salutava Papa Francesco. Appena un giorno più tardi, decine di migliaia di giovani, giunti da ogni angolo del mondo, l’hanno percorsa festosi verso piazza San Pietro, facendo quel «rumore» che il Pontefice ha tante volte chiesto loro di fare.

Mentre si attendeva l’inizio della celebrazione, la scena si è riempita di piccole fotografie di normalità: partite a carte improvvisate sui marciapiedi, scrolling — il movimento del pollice che scorre dal basso verso l’alto sullo schermo dei telefonini — distratti, qualche ragazzo addormentato con la nuca poggiata sullo zainetto, a recuperare la stanchezza di una notte romana. Scene d’infanzia e di futuro, sovrapposte come trasparenze.

Quando il «rumore» si fa troppo alto, sono gli accompagnatori a riportare ordine. Silenziosamente presenti, come fari gentili. Fra Austin, religioso dell’ordine dei Cappuccini minori venuto dalla California, ha raccontato di un viaggio nato per visitare Assisi e Roma, ma divenuto, improvvisamente, parte di una storia più grande: «Una grazia», ha detto con semplicità, parlando dei funerali del Papa.

La Chiesa «riparte» dai giovani, ha affermato un ragazzo accorso dal Friuli - Venezia Giulia. Insieme alle amiche, ha raccontato di un vero e proprio pellegrinaggio a Roma, vissuto nella povertà, vivendo il viaggio nel suo senso più autentico.

Chiamare «grazia» un funerale. Parlare di «ripartenza». Ecco il paradosso che il cuore giovane può comprendere senza imbarazzo, incoerenza, ipocrisia. Fra Austin, incontrato nella giornata di ieri dai media vaticani, era con un gruppo di ragazzi. Tra loro c’era Dawn, 22 anni, occhi scuri e piercing al naso. Viene dall’Oregon e ha parlato di una canzone ascoltata in volo: One of Us di Joan Osborne, ballad rock del 1995 che si chiede se Dio non sia, in fondo, «uno di noi, un estraneo sull’autobus». L’ultimo verso, sospeso su un filo di chitarra elettrica, dice: «Nobody callin’ on the phone, ‘cept for the Pope maybe in Rome. Nessuno che lo chiami al telefono. Solo, forse, il Papa a Roma».

Ma se nemmeno il Papa sa rispondere alle grandi domande sulla vita e sulla morte? Dawn ha spiegato di aver visto su Instagram in cui Francesco ammetteva, di fronte ad adolescenti romeni aiutati dalla Ong «Fdp Protagonisti nell’educazione», attiva da anni nel Paese europeo, che alcuni «perché» non hanno risposta: «Perché soffrono i bambini? Chi può rispondere a questo? Nessuno». Ed è lì, nel non sapere, che si nasconde una forma di speranza: «Ecco, se non c’è il conforto delle risposte», ha ripreso Dawn, «penso che possa solo venire dal fatto che, in un certo senso Dio, sia veramente one of us. Questo mi dà conforto, sì».

I giovani sanno essere spietati nella loro sincerità: basta una foto scattata in orizzontale — anziché nel formato verticale, più adatto ai social — perché un accompagnatore venga etichettato come boomer. «Adolescenza ribelle», così l’aveva definita Papa Francesco, riferendosi alla presenza di ragazzi e ragazze «che, per complesse ragioni storiche e culturali, vivono in modo più forte il bisogno di rendersi autonomi dai genitori, quasi di “liberarsi” del retaggio della generazione precedente».

In questo caso, le schermaglie tra i boomer, persone di età compresa tra i 52 e i 70 anni, e i giovani della Generazione Z, si limitano a bonarie prese in giro. Sotto le battute, si intravede una verità più profonda: un’alleanza silenziosa in cui gli adulti rendono possibile l’evento e i ragazzi gli danno vita, colore, cuore. La saggezza non ha età. È nei giovani, che insegnano senza saperlo. È nei più grandi, che regalano sguardi che vedono oltre l’orizzonte. Quanto Papa Francesco ha insistito sulla valorizzazione del rapporto tra i nipoti e i nonni, capaci di insegnare «a coltivare gli affetti più importanti, che non si ottengono con la forza, non appaiono con il successo, ma riempiono la vita»!

Congedandosi, a fra Austin è caduto per terra il telefono. Il religioso si è chinato per raccoglierlo e si è sfiorato la schiena con una smorfia. «Sto diventando vecchio», ha confidato. La sindrome di Peter Pan, la “paura del definitivo”. Si vive in «un tempo sospeso», si vorrebbe prolungarlo all’estremo. Francesco aveva saputo leggere questo aspetto della giovinezza nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, dedicata proprio alle nuove generazioni. Il suo ritorno alla Casa del Padre sembra invitare ogni giovane — e non solo — a non rimanere fermo. Ad attraversare il dolore. A fare delle “scelte”, anche quando fanno paura. Questo, il “fascino” ultimo della giovinezza.

Al fianco degli oltre 200mila ragazzi giunti a Roma per il Giubileo degli adolescenti, Acea, primo operatore idrico in Italia e tra i primi in Europa, che in questi giorni ha fornito ai giovani pellegrini oltre 200mila litri d’acqua attraverso 17 autobotti dislocate nei punti cruciali della città.