· Città del Vaticano ·

Il racconto di due volontari

Tre lettere che cambiano
la vita

 Tre lettere che cambiano la vita   QUO-097
28 aprile 2025

di Isabella Piro

C’è una linea sottile che separa l’essere e il poter essere, il fare e il poter fare. Una linea sottile racchiusa da tre sole lettere: dis, il prefisso che trasforma l’abilità in disabilità. Il Giubileo delle persone disabili, in programma il 28 e il 29 aprile, ha un compito particolarissimo: convertire quella linea di separazione in linea di unione, di integrazione. Un ponte, insomma — per usare un termine caro a Papa Francesco, scomparso una settimana fa — che aiuti a creare legami tra chi vive una vita cosiddetta “normale” e chi, invece, ogni giorno deve affrontare una sfida, con sé stesso e con la realtà circostante.

Perché, nonostante i tanti progressi raggiunti, il mondo della disabilità è ancora schiacciato da pregiudizi e tabù. «Prima delle barriere architettoniche, bisognerebbe abbattere le barriere mentali!» dice Bianca Maria Moioli: 71 anni, è volontaria a Roma presso “Casa Betania”, struttura fondata nel 1993 dai coniugi Dolfini per accogliere donne e bambini in difficoltà e che nel corso degli anni, con la Cooperativa l’Accoglienza, ha aperto tre case per minori con disabilità anche gravi.

Ai media vaticani, Bianca Maria racconta la sua esperienza giovanile tra gli scout e la sua costante attenzione al tema della solidarietà, confluite poi nel volontariato. «Nel 2018 sono andata in pensione — racconta — e allora ho deciso di dedicarmi alla cura delle persone disabili. Ne avevo conosciute alcune tra gli amici dei miei tre figli ed erano stati tutti incontri bellissimi. Per questo, volevo essere in grado di capire meglio le loro difficoltà, perché la disabilità cambia la vita».

La volontaria non nasconde gli ostacoli iniziali: «Io sono una persona esuberante, parlo a voce alta, distribuisco abbracci… Ma questo mio atteggiamento a volte spaventava le persone disabili che assistevo». Con il tempo, aggiunge, «ho capito l’importanza dell’umiltà, del mettersi nei panni dell’altro, immedesimarsi nel suo modo di sentire. Dall’altro si impara sempre».

Negli ultimi sette anni, Moioli ha assistito persone con disabilità cognitive, cercando di favorirne la socialità. I ricordi costruiti dal 2018 ad oggi sono tanti, Bianca Maria ne menziona uno in particolare: «Tempo fa, ho incontrato due ragazzi che avevo assistito e che ora sono ospiti di una Rsa, dove si viene trasferiti una volta compiuti i 21 anni di età. Mi hanno vista e si sono ricordati di me! Questo mi ha fatto capire che il volontariato non è solo un servizio che si presta, ma è anche e soprattutto amore, affetto che resta».

Putroppo, nei confronti della disabilità permangono ancora tanti pregiudizi, continua Bianca Maria, racchiusi in quella «cultura dello scarto» che emargina chi non è efficiente, produttivo. Una cultura deplorata tante volte da Papa Francesco: «È stato un Pontefice che ho ascoltato molto — conclude la volontaria —. Ha scardinato tanti atteggiamenti sbagliati, ponendo al centro dell’attenzione i deboli e gli emarginati. Davvero è stato il Papa della misericordia».

Di Jorge Mario Bergoglio parla anche Luca Baglivo, 27 anni, volontario nelle strutture di “Casa Betania” da cinque anni: «La sera del 24 dicembre scorso — racconta — abbiamo seguito in diretta televisiva l’apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro. Eravamo insieme ai ragazzi che assistiamo ogni giorno. Quando hanno visto il Papa, hanno esclamato: “È in carrozzina come noi!”». Quella sera, prosegue Luca, «ho imparato l’importanza di riconoscere la fragilità, perché fa parte del nostro vissuto».

La conversazione telefonica viene interrotta da una voce: «Ciao! Mi chiamo Emiliano», dice, prima di allontanarsi. È Luca, allora, a farsi “portavoce” della storia di questo ragazzo di 21 anni, affetto da spina bifida e da un lieve ritardo cognitivo. Nel corso degli anni, ha raggiunto tanti traguardi, evidenzia il volontario: «Per lui è stato importante anche compiere un lungo percorso di accettazione: all’inizio, ad esempio, rifiutava il suo corpo, non se ne voleva prendere cura. Ora invece è diventato autonomo nell’igiene personale ed è un risultato del quale va molto fiero».

«Creatività» è un termine che Luca usa spesso durante l’intervista: è uno strumento essenziale per aggirare gli innumerevoli inciampi di cui è disseminata la vita di una persona disabile. «Una volta abbiamo portato alcuni ragazzi della “Casa” a cena fuori, in un ristorante — racconta —. Tra loro c’era anche una giovane con gravi difficoltà di deglutizione. Abbiamo risolto il problema chiedendo allo chef di frullare tutte le pietanze destinate a lei».

«Il mondo della disabilità — sottolinea ancora Baglivo — spinge a porsi tante domande, perché la diversità è una grande “maestra” nella vita». Poi, un’ultima considerazione, la più importante: «La disabilità è negli occhi di chi guarda. I disabili non sono “supereroi”, ma hanno bisogno di sentirsi “visti”, presi in considerazione, alla pari di tutti».