· Città del Vaticano ·

Continua a Palermo la serie di incontri «Il grande codice: riscritture delle Scritture»
promossa dalla Facoltà Teologica di Sicilia

Musicalità della Parola

 Musicalità della Parola  QUO-097
28 aprile 2025

Anticipiamo uno stralcio della relazione che Pierangelo Sequeri — teologo e musicologo, già preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale a Milano — pronuncerà il 29 aprile presso la Facoltà Teologica di Sicilia, a Palermo, nell’ambito della serie di incontri «Il grande codice: riscritture delle Scritture», coordinati da Massimo Naro. La lezione, intitolata «Le affezioni della Parola: echi biblici e idioma musicale», sarà introdotta Cosimo Scordato.

di Pierangelo Sequeri

Il tratto sapienziale della parola che indirizza oltre la parola, consegue i suoi sviluppi nella meditazione riflessiva e nella interiorizzazione affettiva della Parola, alla quale il corpus scritturale offre la fenomenalità eloquente.

Si tratta, in altri termini, di decifrare la forma spirituale che si rende accessibile nei gesti e nelle movenze, nelle fonicità e negli sguardi, nelle posture e nelle espressioni che si imprimono nel corpo a corpo con il quale — in generale — abbiamo accesso all’interiorità: dell’altro e nostra. Questa frequentazione e inabitazione ha la sua matrice generativa nella memoria dell’intimità fisica nella quale siamo iniziati al linguaggio e nell’immaginazione comparativa che configura la nostra sensibilità per il senso in termini di rispecchiamento della risonanza che ne richiama e ne evoca i significati (ovvero, l’intero rapporto con l’universo semantico: parola, icona, gesto). Il testo che rimane estraneo all’attivarsi di questa matrice generativa, si allontana dalla forma spirituale della sua attestazione rivelativa. Come documento storico, come ingiunzione normativa, come esposizione dottrinale, rimane certamente leggibile e intelligibile: ma come testimonianza di un mondo spirituale che interloquisce con un’esperienza spirituale della sensibilità per il senso che lo rende intelligibile come risonanza inequivocabile di un mondo identico a quello del lettore rimane sostanzialmente inaccessibile e muto.

Ripercorrendo a ritroso il filo rosso che collega gli itinerari della cantillatio monastica e della chanson trobadorica, dell’inno confessante e del Lied affettuoso, della salmodia responsoriale e dell’aria col da capo, del corale ambrosiano e dell’antifona dedicata, della messa cantata e della sacra rappresentazione, è possibile osservare l’inedito rivolgimento che mette in relazione — nella storia cristiana della parola cantata — le virtuali parentele della musikḗ originaria con l’intero semantico della parola, del gesto, dell’icona. Dove appunto la demarcazione delle forme si scioglie nell’evidenza di sotterranei legami, perché la parola e il ritmo, il suono e l’idea, la melodia e la prosodia, l’umana vocalità e la mondana consonanza non avevano ancora patito la violenza di una specialistica separazione. «Musica» significa in primo luogo l’intimo splendore di tutto ciò che ha ritmo e forma, armonia e timbro, disegno cosmico e risonanza interiore. Quando insomma la musica era l’esperienza e l’espressione di una profonda “giustizia” dell’essere, dove l’esatta proporzione della Verità e il libero gioco della Grazia non erano ancora irrimediabilmente scissi.

Se è in questo orizzonte dell’estetico che si viene introdotti, e in questo modo, allora la secolare tradizione biblica, apparentemente così spoglia di determinazioni filosofiche e tecniche a proposito dell’estetico in genere e del musicale in specie, appare capace di istruire percorsi decisivi e di lunga distanza. Gli stessi, del resto, che l’inconscio collettivo dell’Occidente ha di fatto assimilato: svolgendone l’inedita figura di una «storia musicale» del tutto inimmaginabile a priori. Che è poi soltanto “una” — oggi appare definitivamente chiaro — delle molte storie possibili. Esplorare direttamente alla sorgente le figure simboliche del nesso profondo e universale che lega l’esperienza religiosa con quella estetica; e compiere questo percorso seguendo il filo della interazione simbolica fra il teologico e il musicale nella tradizione dei libri sacri dell’ebraismo e del cristianesimo, è dunque operazione simbolica essa stessa.

I testi biblici sono certo un oggetto privilegiato e un’occasione determinante dello sviluppo musicale che contraddistingue la nostra cultura. Ma se riflettiamo più a fondo, ci è forse possibile individuare un legame ancora più intrinseco tra la Bibbia e la nostra tradizione musicale. La polifonia vocale e strumentale — pilastro di una storia assolutamente inedita dell’armonia — sarebbe potuta nascere senza l’impulso universalistico e personalistico della matrice biblico-cristiana? E la plasticità della materia sonora, che finisce per concepirsi come ambito di una espressività evolutiva dell’umano, sarebbe immaginabile senza la dottrina biblica della vocazione alla trasformazione storica della creazione — di contro alla intangibilità dell’origine mitica e dell’ordine cosmico? E ancora: il mondo dei sentimenti individuali, di cui la musica occidentale ha imparato a diventare per eccellenza la forma e la lingua, sarebbe venuto alla luce della coscienza come territorio esplorabile ed esprimibile, senza il potente impulso alla qualità personale dell’esperienza interiore indotta dalla forma biblico-cristiana della relazione con Dio?

Insomma, la musica, come metafora sonora del senso, come simbolo reale dell’armonia di voci sensibili e individuali — più che di sfere invisibili e cosmiche — è difficilmente pensabile al di fuori della formatività indotta dalla responsoriale partecipazione della qahal e della ekklēsía alla lettura e alla proclamazione dei testi sacri.