· Città del Vaticano ·

Il dialogo della salvezza

 Il dialogo della salvezza  QUO-097
28 aprile 2025

di Guglielmo Gallone

Sognatori e costruttori in mezzo alle macerie del mondo: era così che Papa Francesco voleva i giovani, come aveva detto in occasione della Giornata mondiale della gioventù 2021. Ed è così che, ieri, domenica 27 aprile li abbiamo ritrovati: con indosso una maglietta verde, sulle spalle una sacca che simboleggiava il fatto di essere peregrinantes in spem e un volto stanco per il viaggio eppure entusiasta, stupito, inquieto per l’evento di fronte al quale si sono improvvisamente ritrovati: ma voi perché siete qui?

Ci è venuto quasi naturale fare questa domanda ad alcuni dei 200.000 giovanissimi, di età compresa tra i 12 e i 18 anni, arrivati da ogni latitudine per il Giubileo degli Adolescenti (25-27 aprile). Perché questo appuntamento, uno dei più sentiti e partecipati dell’Anno Santo soprattutto a motivo della canonizzazione del loro coetaneo Carlo Acutis, si è presto trasformato in un momento epocale per la Chiesa, segnato dai funerali di Papa Francesco, dal Giubileo e dal Tempo liturgico di Pasqua. Ci è sembrato dunque necessario capire come abbiano vissuto questi giorni i più giovani, cui Francesco ha sempre dedicato una spontanea attenzione durante il pontificato, come peraltro rivela un suo inedito messaggio diffuso ieri dal sito settimanale italiano «Oggi».

«Siamo venuti a Roma per stare più vicini a Dio», irrompe Clara, che fa parte di un gruppo proveniente da Montegranaro, nella provincia marchigiana di Fermo. «Per curiosità», «per attraversare la Porta Santa», «per stare tra di noi», «perché è un’occasione unica», «perché il Giubileo c’è ogni 25 anni e non potevamo perdercelo», «perché il Vaticano è il simbolo della nostra religione», «per celebrare Dio al meglio», «per la canonizzazione di Acutis», aggiungono altri. Lorenzo, da Treviso, dice di essere qui per «la fede cristiana». E quando gli domandiamo cosa significhi per lui e per i suoi amici la fede cristiana, rispondono semplicemente «credere in Dio e pregare, credere che una persona è morta per salvare l’umanità e per far vedere il suo amore per il prossimo, anche se gli uomini lo avevano messo in croce».

Nicolò, da Prato, non nasconde che «siamo venuti sì per il Giubileo ma soprattutto per costruire nuove amicizie». E come si fa? «Noi abbiamo realizzato dei braccialetti con la scritta “Sei la luce del mondo” e li abbiamo regalati gratuitamente a chi incontravamo. Anzi, non sono gratis: sono un dono. Volevamo dire a tutti che nessuno è solo».

Il pensiero va subito alla morte, ai funerali del Pontefice e a quel rapporto che oggi si ritiene quasi scontato fra morte e solitudine: si è davvero soli davanti alla morte? E se questo è il Giubileo della Speranza cui tantissimi ragazzi sono stati chiamati, come si fa a sperare che nella morte ci possa essere la salvezza? «Non è difficile — ci dice Chiara da Bevadoro, provincia di Vicenza —, ce lo ha insegnato Francesco stesso: il suo funerale è stato celebrato proprio in una giornata dedicata ai più giovani. Non è un caso. Lui ci ha voluto qui tutti insieme per farci capire che, da adesso in poi, noi dobbiamo portare la sua parola, essere più forti e numerosi».

«Io penso alla morte come qualcosa di negativo — replica Michele, sedicenne di Monza — soprattutto perché la società di oggi tende a nascondere l’idea della morte, a non parlarne. Secondo me è sbagliato. Tutti prima o poi avremo a che fare con la morte. Ed è un discorso che dobbiamo affrontare. Dobbiamo cercare gli spazi in cui parlarne. Adesso sentiamo la tristezza per la scomparsa di una figura di riferimento come un Papa, però bisogna entrare nell’ottica che, se crediamo, se abbiamo fede, lui avrà una vita migliore e più felice. Quindi dobbiamo essere felici per lui».

Ma allora cosa significa avere fede? «Credere in qualcosa», continua Michele. E tu credi in qualcosa? «Sì, in Dio», oppure nei «valori morali, nell’equità, nel trattare tutti allo stesso modo» aggiunge Gioia, sempre da Monza; «avere fede significa che senza questa speranza mi sentirei più sola e più triste», le fa eco un’altra adolescente, di Treviso; «affidarsi a qualcuno nei momenti di crisi», risponde Viola, da Montegranaro. E cosa è una crisi? «Quando ci si ferma a pensare». «Avere fede significa sperare che qualcosa possa finire, tipo le guerre».

Alla domanda su quali guerre conoscono, tutti menzionano quella fra «Russia e Ucraina» o «Israele e Palestina». Secondo Francesco, Daniel, Tommaso ed Elia, della provincia di Livorno, «la fede non si capisce subito: deve passare tempo, deve succedere qualcosa che ti fa capire. Un po’ come con la morte. Inizialmente fa soffrire perché non vedi più quella persona. Poi qualcosa cambia e se ti ricordi dei suoi insegnamenti, è come se fosse ancora qui».

Quando si chiede ai ragazzi in cos’altro credono e se hanno dei punti di riferimento, tanti parlano degli amici, alcuni dei genitori, altri dei professori. Nessuno menziona i social network, gli attori, i calciatori, né tantomeno nessuno dice di credere nella politica, perché «è noiosa», «è difficile, devi controllare più di un milione di cittadini», «molti politici adesso sembra si siano stancati di darci una mano, invece noi ne avremmo bisogno». E allora questi adolescenti cosa sognano, cosa sperano? Hanno il coraggio di sentirsi “davvero sovrani”, riprendendo l’insegnamento di don Lorenzo Milani, e dunque non solo obbedienti bensì responsabili “di tutto”? «Io sognerei solo che il mondo cambiasse. Ma non del tutto», risponde Filippo quindicenne di Prato. E come cambia il mondo? «Ormai è impossibile». E allora la speranza? «No, non è proprio impossibile. La speranza sta nelle piccole cose». Tipo? Voi che speranza avevate venendo qui? «Di stare bene», replicano i giovani di Montegranaro. E cosa significa stare bene? «Stare insieme. Stare in compagnia». «Il punto forse è questo — riprende Filippo — non cambiare l’intero pianeta Terra. Il punto è cambiare ogni persona che incontriamo, il mondo che l’altro vive». E da dove si parte per fare tutto questo? «Da noi».

Poi quando gli animatori li richiamano per andar via i ragazzi di Prato ci confidano «È stato bello incontrarvi», manifestando tutta la necessità di questi giovanissimi con le ginocchia sbucciate, le borracce d’acqua sotto il braccio, l’apparecchio ai denti e l’acne sulla pelle, di parlare di certi temi e di trovare luoghi, spazi nuovi in cui potersi confrontare, in cui poter dialogare. A partire dalla Chiesa “in uscita”. Perché, come raccomandava Papa Bergoglio ai fedeli della diocesi di Roma il 18 settembre 2021, non bisogna aver «paura di entrare in dialogo», anzi occorre lasciarsi «sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza».