I poveri

di Benedetta Capelli
È l’alba, le strade sono già affollate di persone, c’è brusio, frenesia di entrare in piazza San Pietro per partecipare all’ultimo saluto a Papa Francesco. Questo mondo fuori, sabato mattina, 26 aprile, scompare quando si salgono le scale di Palazzo Migliori, che il Pontefice ha donato ai poveri nel 2019, oggi affidata alla Comunità di Sant’Egidio.
Al secondo piano, dove ci sono le sale da pranzo, Marco Cimolino, che da quasi 6 anni è qui, si adopera per la colazione. Pian piano la casa si sveglia: degli ospiti, circa 45 persone, 22 sono italiani; solo 5 sono le donne: due di loro, Emilia e Rosa, hanno anche le badanti. Oggi la giornata è diversa, la routine cambia, gli ospiti possono restare oltre l’orario solito di uscita, per vedere i funerali di Francesco, il Papa che sentono amico fraterno, Padre, fratello, uno di loro.
Prima della messa esequiale in tanti sono andati via, hanno preferito confondersi tra la folla, allontanarsi ma non per mancare di rispetto a Francesco. Lo hanno fatto per quel senso di vergogna che la strada ti incolla sulla pelle, per cui ti senti inadeguato e a disagio. Nelle loro parole di chi è rimasto ci sono riconoscenza, gratitudine, ricordi affettuosi. Gennaro, 84 anni, commenta la cerimonia, conosce vescovi e cardinali. Insieme a lui ci sono i volti più famigliari per gli ospiti come quello di Carlo Santoro e Marco Bartoli della Comunità di Sant’Egidio, ci sono Marco e Pina, la signora delle pulizie.
Gli occhi di questa umanità sono fissi sullo schermo, è l’omaggio al Papa che li ha amati profondamente. Violetta stringe tra le mani il rosario e il cellulare, ogni tanto racconta di episodi storici legati alle chiese di Roma o di cosa ha trovato nell’immondizia; al collo ha le cuffiette perché dice che si concentra meglio se ascolta la musica, ai piedi ciabatte aperte ma anche una gonna con fili dorati. Nikolai ha appoggiato il suo cappello giallo con la scritta “Diocesi di Parma” sul tavolo; indossa una maglietta — gialla anche quella — che ricorda una frase di Giovanni Paolo ii. Rosa ha scelto di sedersi lateralmente, è attenta e guarda la tv anche se ogni tanto si lamenta del dolore alle gambe. Nicholas ha l’aplomb inglese ma i quasi 40 anni passati a Roma lo hanno cambiato. Si appresta a compierne 70 e da stamattina ha gli occhi lucidi, quando parla fa spesso una pausa. Qui il ricordo di Papa Francesco, della sua cura per gli ultimi, è vivo, concreto, reale.
Arriva Emilia, si siede e scherza con Marco. Indossa un cappello blu di lana, una pelliccia ecologica chiara e non si separa dalla borsa. «Papa Francesco era un mio amico», racconta; ma non vuole spiegare di più, è dalla mattina che schiva i microfoni dei giornalisti presenti. Guarda il Vangelo aperto, posto sulla bara del Pontefice, spesso porta le mani sul volto e sospira. Alberto è un anziano arrivato da tre mesi, è amico della Comunità di Sant’Egidio ma per tutto il tempo non proferisce parola, sta in piedi con le braccia conserte: è un solitario e anche la solitudine è una soluzione per sopravvivere.
Giovanni ha fatto colazione e racconta di essere stato scelto per andare sul sagrato della basilica di Santa Maria Maggiore con una rosa in mano per salutare l’ultima volta Francesco. «È stata per me una grande gioia poter fare questo gesto, visto che lui ha fatto tanto per noi... se non era per lui io non ero nemmeno qua. È stato — dice — un uomo di pace, grazie a lui tanta gente ha trovato pace e serenità». Per Giovanni lo spartiacque è la morte della moglie di 24 anni e la figlia di 6 uccise da un ubriaco alla guida. Da lì inizia la deriva con un tentativo di suicidio e trenta anni in strada. «La strada è come una droga, ti entra nelle vene, io sto usando Palazzo Migliori per cominciare una nuova vita».
Di Gennaro, 84 anni, colpiscono il linguaggio forbito e la cura nel vestire. È finito in strada dopo una truffa. «Ho tenuto le mani del Papa tra le mie quattro volte — confida — per me è stato un faro, un padre e lo rimarrà a lungo perché ha posto l'attenzione sulla vera realtà essenziale della Chiesa».
Marco Cimolino si prende cura dei suoi ragazzi, anche lui ha un passato in strada durato 9 anni, iniziato con la perdita del lavoro. Dall’apertura della struttura è qui per aiutare, una vocazione fiorita dopo aver incontrato la Comunità di Sant’Egidio. «Per gli ospiti di Palazzo Migliori sono un punto di riferimento perché ho vissuto quello che stanno vivendo. Qui siamo in famiglia, mangiamo con le posate non di plastica, i piatti di ceramica, i bicchieri di vetro proprio come a casa». Infine Marco ricorda Francesco e il suo incontro nel novembre del 2019, «per me è il Papa dei poveri».
Due donne speciali sono Violetta e Rosa. Per la prima il Vescovo di Roma era «pane pane vino al vino», spontaneo e tenero, la seconda ricorda di averlo visto in macchina e di averlo salutato. Entrambe hanno vissuto in strada, non sono romane. La prima ha vissuto in Belgio, la seconda a Palermo; una passione in comune per i piccioni, Rosa compra il pane ogni giorno, Violetta racconta che dare da mangiare agli animali la rilassa.
Il più commosso a Palazzo Migliori è Nicholas, un passato in una grande azienda pubblica e poi il. «Ero per strada — racconta —, mi hanno raccolto le suore di madre Teresa di Calcutta e mi hanno portato nel dormitorio in via dei Penitenzieri, inaugurato nel 2015 da Francesco. Quando ero in strada andavo al colonnato di San Pietro a farmi la doccia, la barba, cambiare vestiti e prendere un panino, servizi voluti fortemente dal Papa. Senza di lui io sarei ancora lì». I suoi occhi celesti si gonfiano di lacrime quando indica nella misericordia la colonna portante del pontificato di Bergoglio. «Palazzo Migliori è la tua casa?», la risposta è netta: «Non può esserlo per sempre. Bisogna trovare una via d’uscita, mantenersi autonomamente». Il sogno di Nicholas è vivere insieme ad altre persone in una piccola abitazione piccola.