· Città del Vaticano ·

Francesco e la relazione speciale con i detenuti

«Perché voi e non io?»

 «Perché voi e non io?»  QUO-096
26 aprile 2025

«Perché voi e non io?»: era questa la domanda che interpellava, in qualche modo tormentava, l’animo di Papa Francesco ogni volta che pensava e che incontrava i detenuti. I cari detenuti, perché è indubbio che il Pontefice, con chi era rinchiuso nelle carceri di Roma come di ogni angolo del mondo, aveva un rapporto speciale. Tanto che, nonostante il fisico provato, non aveva voluto far mancare, nel suo ultimo Giovedì Santo, la sua presenza accanto ai detenuti della casa circondariale di Regina Coeli. Uno dei tanti gesti fortemente simbolici compiuti nel corso del suo magistero, come l’apertura della Porta Santa nel carcere di Rebibbia, che ha segnato un momento storico nella storia dei Giubilei ordinari. «Fin dall’inizio del suo ministero petrino — ha osservato parlando al Sir il cappellano generali delle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi — Papa Francesco ha voluto segnare il suo impegno pastorale stando accanto agli ultimi, a chi non ha voce. Questa esperienza già l’aveva vissuta nel suo ministero episcopale a Buenos Aires: ha voluto continuare questa sua opera accanto ai poveri, agli ultimi anche da Pontefice. Come sacerdote e ispettore dei cappellani nelle carceri italiane, sono grato a Papa Francesco per tutte le volte che ha indicato il carcere come luogo di riscatto e che ha mostrato che bisogna avere a cuore i detenuti e aiutarli a rialzarsi, dando loro fiducia. Papa Francesco, tutte le volte che è andato a visitare i detenuti nelle carceri, non solo italiane, ma anche all’estero, ha voluto esprimere questa vicinanza della Chiesa, dicendo che non condanniamo, non puntiamo il dito, ma invitando i detenuti a credere nell’infinita misericordia di Dio».

Anche perché, come si accennava, la domanda che dovrebbe interpellare tutti quelli che sono da questa parte delle sbarre dovrebbe indurci a riflettere sul fatto che la vita può condurresu sentieri inattesi, non voluti, anche per un dettaglio, per un momento di debolezza, per una disgrazia più o meno importante. «La sua domanda “Perché voi e non io?” — continua don Grimaldi — ci fa pensare che entrare in carcere, purtroppo, oggi può essere facile. Tanti detenuti sono entrati in carcere anche per piccoli reati, per i quali ci sarebbe potuto essere anche l’affidamento ai servizi sociali. Le parole di Francesco ci fanno anche capire che il carcere è un luogo di frontiera con il quale la pastorale della Chiesa continuamente si confronta. Il Giubileo che stiamo celebrando abbraccia tutti: i malati, i poveri, il popolo di Dio, i preti, i vescovi. Il Papa ha voluto inserire in questo abbraccio di fede e speranza anche i detenuti, che ha portato sempre nel cuore».

Anche l’apertura della porta santa a Rebibbia è un forte richiamo, «è una porta che si spalanca all’interno e all’esterno: fa entrare la società dentro, ma permette anche ai detenuti che vogliono riscattarsi di uscire fuori e di essere accolti nella società».

Una società che non dovrebbe essere giudicante ma umile nei confronti di chi paga spesso per colpe proprie ma spesso determinate da condizioni e ingiustizie sociali. Non a caso, Francesco ha molto amato il gesto della lavanda dei piedi dei detenuti. Quest’anno, anche se le condizioni di salute non glielo permettevano, ha voluto comunque essere presente a Regina Coeli. «Papa Francesco, in questi anni — ha osservato il cappellano — ha scelto di celebrare la Messa in Coena Domini non nella basilica di San Pietro, ma in diverse carceri italiane per vivere questo gesto, che non è un rito vuoto. Lavando i piedi ai detenuti, il Santo Padre ha voluto dire agli uomini di oggi e alla Chiesa intera che la missione della Chiesa è servire, come diceva anche don Tonino Bello è “la Chiesa del grembiule”, la Chiesa che si china davanti alle povertà. Papa Francesco chinandosi davanti ai detenuti ci ha fatto capire che non ci può essere disprezzo verso coloro che hanno sbagliato, non dobbiamo puntare il dito né emarginare. Chinandosi sui piedi dei detenuti e lavando loro i piedi, Francesco ci ha ricordato che la Chiesa è al servizio degli ultimi e dei poveri.Dal primo momento ha detto che il suo sogno era una Chiesa povera per i poveri. E ha dato concretezza a questo con i suoi gesti profetici di cui ha disseminato il suo Pontificato».

E i detenuti lo hanno capito ed apprezzato. A Regina Coeli, la morte di Papa Francesco è arrivata inattesa e ha portato profonda tristezza e solitudine a chi anche dietro le sbarre sapeva di poter contare fuori da lì su un padre misericordioso, comprensivo e non giudicante.