· Città del Vaticano ·

Bailamme

Tutto nasce per fiorire

 Tutto nasce per fiorire  QUO-095
25 aprile 2025

di Andrea Monda

«Tutto ciò che sorge converge», così diceva Pierre Teilhard de Chardin un padre gesuita, teologo e scienziato geniale, a cui l’aggettivo “profetico” non stonerebbe. Il desiderio ultimo di quest’uomo fu esaudito: aveva pregato di poter morire il giorno di Pasqua e in una bella mattina di sole della domenica di Pasqua moriva a New York, il 10 aprile del 1955.

Quella frase, suggestiva e misteriosa, ha generato frutti anche oltre il recinto della teologia e, ad esempio, la scrittrice cattolica americana Flannery O’Connor, appassionata lettrice di Teilhard, ha intitolato con quelle parole uno dei suoi racconti. A sua volta il cantautore australiano Nick Cave, appassionato lettore della O’Connor, ha intitolato con quelle stesse parole una sua canzone. Sono cose che capitano nel campo della cultura, dell’arte, anzi è proprio questo quel “campo”: un posto dove i “coltivatori” si incontrano, si contagiano, si influenzano e continuano così a mescolarsi e a generare. Ed è per questo che quello che generano, quello che “sorge”, finisce per convergere, anche se arriva da provenienze diverse, distanti.

Ma non è di questo che vorrei parlare, ma di un’altra “convergenza”.

Settant’anni dopo la morte di Teilhard, all’alba del lunedì di Pasqua del 21 aprile di quest’anno, un altro gesuita moriva, un altro a cui quell’aggettivo, “profetico”, non stonerebbe affatto. Non sappiamo se anche lui aveva pregato di morire a Pasqua, ma vedendo come è andata tutta la sua parabola soprattutto nel finale, se fosse così non ci meraviglieremmo.

C’è una frase, tra le tante, che Papa Francesco ha detto che è molto simile a quelle parole del suo confratello francese: il 20 settembre 2017 durante una catechesi del mercoledì disse «Tutto nasce per fiorire in un’eterna primavera. Anche Dio ci ha fatto per fiorire». Questa frase, squisitamente teilhardiana di Francesco è stata ricordata un paio di giorni fa da un cantautore romano, Jovanotti durante il suo concerto a Roma, in un delicato e commosso ricordo del Papa da lui definito «un appassionato di poesia, un prete, un prete di periferia, si chiamava Francesco. Gli abbiamo voluto un mondo di bene. E lui ce ne ha voluto a noi». E ha concluso che nella vita «si cade e ci si rialza, come fanno i fiori».

La vita come fioritura. Il seme, il frutto, il fiore. Tutti uniti, in un dinamismo, in una tensione vitale. Questo era Francesco. In uno dei suoi ultimi testi, dedicati alla poesia (era veramente appassionato), ha scritto che senza coltivare la poesia «siamo come un frutto secco».

Nel vedere e rivedere con la memoria questi ultimi giorni di Papa Francesco, dalla “caduta” quando il 14 febbraio, il giorno degli innamorati, è andato al policlinico Gemelli per una grave situazione polmonare, fino all’ultimo giorno di Pasqua, il giorno della resurrezione, viene da pensare che il bocciolo di Francesco è finalmente fiorito e ora, aperto, spalancato, può rialzarsi, sorgere e finalmente convergere in direzione di quel “sole” verso cui da sempre è stato proteso come in risposta ad una chiamata.

A noi resta il suo profumo che ora può spandersi ancora più liberamente e potentemente di prima.