Una Chiesa in uscita

di Federico Piana
Il testamento spirituale e teologico che Papa Francesco lascia alla Chiesa e al mondo è quello di un sogno. «E non è un termine poetico ma sostanziale perché lui amava spesso parlare della necessità di sognare» racconta monsignor Piero Coda, segretario generale della Commissione teologica internazionale, in una conversazione con «L’Osservatore Romano».
E quel sogno non svela altro che una verità: la Chiesa è il Vangelo, non nel senso che esso è proprietà esclusiva della Chiesa ma «nel senso che Gesù, crocefisso fuori dell’accampamento come un maledetto e che Dio ha resuscitato dai morti, continua attraverso la Chiesa a portare la buona notizia che il Signore è già venuto e sta venendo in mezzo a noi per tutti, soprattutto per gli ultimi».
Una delle prime azioni teologiche del pontificato che fece intuire una tappa nuova nel cammino della Chiesa inserita in un lungo cammino di rinnovamento di cui il Concilio Vaticano ii fu un provvidenziale avvenimento avvenne la sera della sua elezione quando si affaccio per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni a San Pietro: «In quel momento — ricorda Coda — lui si inchinò e chiese al popolo di Dio di invocare su di lui la benedizione affinché potesse svolgere secondo la volontà divina il suo ministero. Questa è una cifra teologica decisiva della sua azione come vescovo di Roma che trae la linfa dal magistero del Concilio Vaticano ii, in particolare dal capitolo secondo della costituzione dogmatica Lumen gentium: la Chiesa come popolo di Dio con la sua universalità che raccoglie e chiama tutti gli uomini e le donne di buona volontà aldilà della confessione religiosa e dell’appartenenza alla Chiesa cattolica».
E poi c’è un altro collegamento fondamentale tra questo apparente semplice gesto e il tesoro del Concilio: «Si trova sempre nella Lumen gentium, questa volta nel primo capitolo: la Chiesa come mistero e come soggetto storico che testimonia della presenza e dell’azione di Dio nella storia». In fondo, quando Papa Francesco parla di una Chiesa povera e dei poveri mette in atto la Magna Carta del Concilio Vaticano ii: «Non è certamente pauperismo. La povertà di cui si parla è la povertà che esprime l’amore di Cristo, il Verbo che si è fatto povero da ricco che era per andare verso gli ultimi».
In tutto il suo magistero Papa Francesco sente il bisogno di non distogliere mai lo sguardo dal Concilio Vaticano ii perché, come diceva già Giovanni Paolo ii, esso è stato la premessa indispensabile al cammino della Chiesa nel terzio millennio: «E poi Francesco è stato il primo Papa che non ha partecipato ai lavori conciliari e quindi ha lasciato dietro le sue spalle tutte le questioni legate alla sua interpretazione e ne ha assunto l’essenza nel modo più profondo capendo che occorreva camminare nella scia indicata in esso dallo Spirito Santo».
La convocazione del grande processo sinodale che tutt’ora è in corso non fa altro, aggiunge Coda, che «rendere concreto ciò che il Concilio Vaticano ii aveva posto come premessa. Paolo vi ha introdotto il Sinodo dei vescovi come espressione della novità ecclesiologica conciliare affermando la collegialità episcopale e Papa Francesco porta avanti questa riforma chiamando a raccolta tutto il popolo di Dio, quindi cercando di superare una figura di Chiesa clericale, unilateralmente gerarchica e maschilista».
La prima enciclica del pontificato è stata quella intitolata Lumen fidei dedicata al tema della fede e iniziata dal suo predecessore, Benedetto xvi. Senza dubbio una profonda continuità con il papato precedente che secondo Coda rappresentò un gesto forte: «Da un lato, da parte di Benedetto xvi di lasciare in eredità questo documento incompiuto e, dall’altro, di Papa Francesco di raccogliere l’eredità, di farla propria e di rilanciarla. La chiave di questa grande enciclica è che la fede non è solo credere in Gesù come il Figlio di Dio fatto carne ma è partecipare dello stesso sguardo con cui Gesù guardava al Padre e dal Padre guardava alla storia».
La Lumen fidei ha una corrispondenza diretta con l’ultima enciclica di Papa Francesco, quella Dilexit nos sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo che rappresenta un’altra eredità spirituale fondamentale: «La fede in Cristo qui è letta e proposta attraverso la conformazione al suo cuore da cui promana la sua carità che c’è donata nello Spirito Santo e alla quale partecipiamo per dare vita a una civiltà nuova, quella dell’amore».
Anche l’impegno concreto di Papa Francesco per la pace nel mondo e quello per la difesa dei migranti e dell’ambiente Coda li annovera tra gli atti pienamente teologici: «Certamente. E poi lo dice lo stesso Francesco proprio nella Dilexit nos: per capire tutto questo e tutto il suo magistero bisogna partire dal cuore di Cristo. Il messaggio del Vangelo è un messaggio di trasformazione del cuore dell’uomo a misura di quello di Cristo, grazie allo Spirito Santo. E proprio per questo è un messaggio di trasformazione anche sociale, politica, economica, culturale. La Chiesa non annuncia soltanto un messaggio di tipo spirituale».
Monsignor Coda è convinto sempre di più che Papa Francesco sia stato profeta in un tempo polarizzato in cui il pericolo incombente è quello di una tecnocrazia economica che si serve anche degli strumenti militari per imporre le proprie posizioni:. «A tutto questo, Francesco ha contrapposto la vera rivoluzione: annunciare il primato del servizio degli ultimi e il ruolo essenziale della costruzione della giustizia, della solidarietà e della fraternità».