Le preghiere le lacrime

di Salvatore Cernuzio
Il percorso è stato più o meno lo stesso di quattro giorni fa. Santa Marta, via della Sacrestia, piazza dei Protomartiri Romani, poi l’Arco delle Campane, piazza San Pietro, le file davanti al sagrato della basilica Vaticana. Domenica scorsa, giorno di Pasqua, era la papamobile a passare, con Francesco che provava a stendere le braccia, appesantite dalle terapie, per accarezzare bambini, salutare e benedire. Oggi è una bara di legno a muoversi davanti a ventimila persone, dispiegate in una piazza illuminata da un sole finalmente primaverile, in lacrime, con le dita a coprire la bocca, il rosario in una mano e lo smartphone nell’altra per immortalare il momento.
Il corpo di Francesco è vestito con i paramenti rossi, in testa la mitra, intrecciata tra le dita la coroncina in perle nere, quella che portava sempre in tasca insieme a una immaginetta di Teresina di Lisieux e a un santino del cardinale Jean-Louis Tauran. Il feretro viene portato in processione per essere traslato in basilica. Una cerimonia solenne, che la Chiesa e il mondo non vedevano dall’aprile di vent’anni fa con la morte di Giovanni Paolo ii. Cerimonia solenne, presieduta dal cardinale Kevin Joseph Farrell, camerlengo di Santa Romana Chiesa, ma al contempo intima con circa 80 tra cardinali e patriarchi in prima fila, poi vescovi e arcivescovi, sacerdoti e suore, infine i laici “più dietro”, come ordinato da sampietrini e gentiluomini di Sua Santità.
Si inizia a pregare e cantare da prima dell’uscita della bara aperta, portata a braccio dai sediari pontifici, dalla porta automatica della Domus vaticana che per oltre dodici anni è stata residenza del Pontefice argentino. La salma attraversa il corridoio creato dai penitenzieri con la stola rossa e gli alabardieri della Guardia Svizzera intorno alle 9.10, poco dopo il suggestivo rintocco delle campane e il canto della Schola Cantorum. Dietro ci sono i segretari: l’italiano don Fabio Salerno e gli argentini don Daniel Pellizzon e don Juan Cruz Villalón. Poi l’assistente sanitario personale Massimiliano Strappetti, gli aiutanti di camera Piergiorgio Zanetti e Daniele Cherubini. Tutti sono visibilmente commossi e in questi ultimi due giorni hanno vegliato sul flusso enorme di persone venute a dare omaggio al Papa nella cappella di Santa Marta.
«Fratelli e sorelle carissimi, con grande commozione accompagniamo le spoglie mortali del nostro Papa Francesco nella basilica Vaticana, dove ha esercitato spesso il suo ministero di Vescovo della Chiesa che è in Roma e di Pastore della Chiesa universale», scandisce Farrell in latino al microfono. «Mentre lasciamo questa casa, ringraziamo il Signore per gli innumerevoli doni che, tramite il suo servo, il Papa Francesco, ha elargito al popolo cristiano, e supplichiamolo perché, misericordioso e benigno, conceda a lui l’eterna dimora nel regno dei cieli e doni il conforto della superna speranza alla famiglia pontificia, al suo popolo santo che vive in Roma, a tutti i fedeli sparsi nel mondo».
«Procedamus in pace», invita il diacono. Il corteo si snoda quindi in un’unica lunga fila, muovendosi all’ombra dei muri e delle statue, del cupolone e degli alberi che puntellano il percorso fino alla Piazza. Da lì, all’apparire della processione parte il primo applauso spontaneo. Gli svizzeri sull’attenti, i gendarmi in divisa — qualcuno anche commosso —, donne con la veletta nera, bambini in braccio ai genitori, tantissimi sacerdoti della diocesi di Roma accompagnano il passaggio verso il sagrato. Un altro applauso in quel momento a suggellare l’ingresso delle spoglie di Jorge Mario Bergoglio dal portone centrale e il percorso verso la navata centrale, fino all’altare della Confessione, luogo in cui Pietro professò la sua fede col martirio.
Il feretro viene deposto su una piccola pedana rossa leggermente inclinata, sopra un tappeto a terra. Nessun catafalco, come sempre avvenuto nel passato, secondo la volontà di Francesco. Il corpo del Papa defunto viene asperso con l’acqua benedetta e incensato. Si proclama il Vangelo, l’assemblea è disposta in semicerchio e segue il canto dei salmi e delle litanie. L’atmosfera continua a mantenere un tono di forte intimità; le prime file di cardinali e vescovi che vanno a dare il loro saluto al Pontefice sono ordinate. Lui è lì, sopra la tomba dell’apostolo, con un’espressione serena che somiglia a un vago sorriso come i tanti che ha dispensato nelle sue uscite pubbliche.
A catturare più di tutti l’attenzione è suor Geneviève Jeanningros, la piccola sorella di Gesù ultraottantenne che il Papa definiva una «enfant terrible» nei loro continui incontri ogni mercoledì in piazza San Pietro all’udienza generale, dove lei portava giostrai, rom e persone omosessuali e transgender. Suor Geneviève è in un angolo, piccola, con i suoi occhi azzurrissimi inondati di lacrime davanti al feretro.
Fuori dalla basilica, intanto, le cui porte aprono al pubblico alle 11 in punto, già da ore si sono create lunghissime file di fedeli. I primi gruppi attendono dietro i cancelli recitando i Misteri del rosario, corrono appena ricevono il via da gendarmi e volontari. Sfoderano gli smartphone una volta arrivati alla transenna e si fermano qualche istante a guardare il Papa facendosi il segno della Croce.
Il cordone arriva fino a via della Conciliazione, dove si fatica anche a passare. La basilica rimarrà aperta fino a mezzanotte e lo stesso avverrà domani dopo l’apertura alle 7. Venerdì invece si terrà alle 20 il rito di chiusura della bara. Infine sabato 26 aprile, alle 10, in Piazza San Pietro l’ultimo addio al Papa «venuto dalla fine del mondo».