· Città del Vaticano ·

Fratello nostro
operatore di pace

 Fratello nostro  operatore di pace  QUO-091
21 aprile 2025

di Andrea Monda

Si è speso totalmente, senza riserve, fino all’ultimo giorno. Fino alla fine. Andando incontro alla gente, abbracciandola. E se le condizioni non lo permettevano allora telefonava ai tanti verso cui sentiva l’urgenza di far sentire la sua voce. Tra i tanti c’era padre Gabriele Romanelli, il parroco di Gaza, che chiamava di pomeriggio, anzi spesso videochiamava. Non solo far sentire la voce ma potersi vedere, occhi negli occhi. Il “faccia a faccia” per Bergoglio era fondamentale, perché guardarsi negli occhi rende impossibile mentire e permette la vera comunicazione che è innanzitutto relazione, comunione. Il telefono per ridurre la distanza e farsi vicino, secondo «lo stile di Dio» fatto di «vicinanza, compassione e tenerezza»; è questa dell’azzeramento delle distanze una cifra del suo pontificato in cui i “ruoli” restano, ma senza soffocare la relazione, perché le persone sono più della loro qualifica o prestazione ed è quindi necessario passare dalla «cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo».

Gaza, come aveva scritto nel messaggio Urbi et Orbi di ieri, «dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria». Gaza, quindi, la Terra Santa ferita, ma anche l’Ucraina, la “martoriata Ucraina” per la quale ha pregato tutti i giorni a partire da quel 24 febbraio di tre anni fa, anche in questo caso fino a ieri, quando ha scritto: «Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura».

E più lungo ancora è l’elenco, nel cuore e nelle parole del Papa, dei Paesi dilaniati dai conflitti in questa «terza guerra mondiale a pezzi» da lui annunciata, incompreso come tutti i profeti, sin dall’inizio del suo pontificato. A fianco al lavoro della diplomazia della Santa Sede il Papa non ha mai fatto mancare la sua voce profetica fatta non solo di parole ma di gesti, silenzi, preghiera. Il giorno dopo l’invasione dell’Ucraina, la mattina del 25 febbraio 2022, prese la macchina e si recò personalmente, nella vicina sede dell’Ambasciata della Federazione russa. Colpì la fretta di quel gesto, erano passate solo poche ore dall’invasione e questo era il suo modo di far sentire la sua presenza, la partecipazione e la preoccupazione per quel dramma appena cominciato. Il 15 agosto di quell’anno il titolo del Messaggio per la Giornata mondiale della gioventù fu «Maria si alzò e andò in fretta» (Lc 1, 39) in cui sottolineava come «In questi ultimi tempi così difficili, in cui l’umanità, già provata dal trauma della pandemia, è straziata dal dramma della guerra, Maria riapre per tutti e in particolare per voi, giovani come lei, la via della prossimità e dell’incontro». Due parole illuminanti: prossimità e incontro. Il modello è sempre quello del Buon Samaritano che vince la pigrizia, il torpore, la paralisi che spesso le paure ci provocano e si muove a compassione, facendosi prossimo del fratello più fragile e bisognoso. Proprio come Maria che vive il “terremoto” dell’annuncio ricevuto senza chiudersi in una lamentosa autoreferenzialità ma esce da se stessa, corre verso gli altri e «non si lascia paralizzare, perché dentro di lei c’è Gesù, potenza di risurrezione». La prossimità e l’incontro come antidoto alla guerra e come condizioni di partenza per una «pace preventiva».

Operatore instancabile di pace che è un bene fragile, bisognosa di una cura artigianale fatta di quotidiana tessitura delle relazioni e ricucitura di una fraternità ferita. La morte di Dio ha portato nel “secolo breve” alla morte del prossimo; uccidendo il Padre, l’uomo è passato automaticamente all’uccisione del fratello. Tornando da Malta il 3 aprile 2022 Francesco ammise con amarezza che «Siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino» e rispetto agli “schemi di guerra” «non siamo capaci di pensare un altro schema, perché non siamo più abituati a pensare con lo schema della pace». Allargare lo sguardo, acuire l’immaginazione, far esplodere la creatività per tornare a vivere la fraternità ed evitare il fratricidio, questa l'esortazione del Papa in tutti questi anni, invitando come dice Gesù nel Vangelo, a farsi veramente prossimo, fratello di ciascuno, di tutti. L’enciclica Fratelli tutti del 4 ottobre del 2020 resta il fatto più eloquente insieme ai viaggi apostolici. Papa Francesco, fratello nostro, ha percorso in lungo e in largo il mondo per incoraggiare gli uomini a vivere e incarnare il sogno della pace. I viaggi indicano la trama di questo lavoro di tessitura della pace lungo i confini del mondo più lacerati. Myanmar, l’Africa, l’Iraq, e poi ad Abu Dhabi la firma del Documento sulla fratellanza umana insieme al Grande imam Al-Tayyib, il 4 febbraio 2019. Il giorno dopo tornando in aereo verso Roma quando l’allora direttore della Sala stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti definì quell’evento come “grande, storico”, Francesco precisò che «Nessuna storia è piccola, nessuna. Ogni storia è grande e degna, e anche se è brutta, se la dignità è nascosta, sempre può emergere». La dignità dell’uomo non viene mai meno, perché fondata sull’amore creativo di Dio. Un tema che è riecheggiato anche nei testi per l’ultima Via Crucis, lo scorso Venerdì santo, quando ha scritto: «Disumana è l’economia in cui novantanove vale più di uno. Eppure, abbiamo costruito un mondo che funziona così: un mondo di calcoli e algoritmi, di logiche fredde e interessi implacabili».

La voce di Francesco si è alzata per ricordarci tutto questo, e lo ha fatto fino alla fine, “correndo” con la sua papamobile in piazza tra i fedeli nella luce di un mattino di Pasqua dopo che li aveva salutati dalla Loggia delle Benedizioni, proprio lì dove dodici anni fa tutto era cominciato, quando aveva chiesto ai fedeli di pregare per lui e camminare insieme, la sinodalità, il popolo con il suo vescovo. Il suo cammino, la sua corsa terrena è finita nel giorno del Signore risorto, nostro fratello Francesco ora ci “primerea”, ci precede e da oggi ci attende per l’ultimo definitivo abbraccio.