
Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». (Gv 20, 15-17)
È passato il sabato, il giorno del grande silenzio. Tutto può ricominciare, come un nuovo inizio. Come convalescenti che devono riabilitarsi a parlare, camminare, vivere, l’umanità nel mattino di Pasqua riparte piano, con passo incerto. E si reca lì dove tutto è cominciato, all’inizio del tempo, in un giardino. Sono le donne, sempre più concrete e rapide, che stanno lì, dove è giusto stare, il luogo dove le sospinge il cuore, il coraggio. Lì dove si curano gli uomini, i morti, rivestiti di una dignità anche maggiore. Così pensano Maria e le altre, che si tratti di un morto. Non vedono Gesù, vivo, anche quando ce l’hanno davanti gli occhi. Lo scambiano per il «custode del giardino» che è la definizione di ogni uomo sin da quando Dio nell’Eden, dopo aver creato Adamo e avergli dato il potere di nominare tutto il creato, l’ha affidato alla sua custodia. Gesù allora risveglia Maria di Magdala facendo il gesto più semplice: la chiama per nome. La firma dell’amicizia. Lo aveva fatto anche con Giuda in un altro giardino, nell’orto degli ulivi. Ma non era servito. La notte aveva prevalso. Ma ora qui, la luce del mattino vince sulle tenebre. E le spiega che il segno dell’amicizia è la libertà: «non mi trattenere». Il contrario di quello che avevano fatto tutti i personaggi, da Giuda in poi, in questi tre giorni che hanno trasformato il mondo e aperta la possibilità di abitare quel giardino, come dimora di amici, di fratelli.
A.M.