· Città del Vaticano ·

L’invito di Papa Francesco

A testa alta oltre la paura

 A testa alta  oltre  la paura  QUO-090
19 aprile 2025

di Andrea Monda

Papa Francesco ha voluto che questo Giubileo fosse vissuto dai cattolici nel segno della speranza.

Rivolgendosi ai cristiani di Tessalonica, san Paolo affronta il tema della morte li esorta a vivere nella gioia e nella speranza e scrive: «Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» (1 Ts 4, 13).

I morti sono “quelli che dormono”, mentre gli altri, i tristi “che non hanno speranza” sono i pagani. Il primo gruppo è più numeroso, perché la morte è quella «sora nostra morte corporale da la quale nullu homo vivente pò scappare», e l’angoscia che provoca la morte la sperimenta ogni uomo, anche Gesù, vero uomo, nel Gethsemani l’ha vissuta. Però il pungiglione alla morte è stato tolto proprio dalla resurrezione di Cristo che ha trasformato la fine in un con-fine, la morte in un sonno che si può attraversare. La parola stessa che indica il luogo della sepoltura, cimitero, etimologicamente fa riferimento al “dormitorio”. Gesù è stato anche lì, è l’ultimo posto che ha visitato sulla terra, perché questo è l’ultima dimora per ogni essere umano, ma l’ha trasformato: è stato deposto in un sepolcro e l’ha fatto diventare un cimitero. Il luogo del silenzio e della solitudine ma non della fine. Come recita un’antica omelia sul Sabato santo: «Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi». Gesù è l’autore della grande “scossa” della Pasqua, che ci ha risvegliato dal sonno della morte e da quell’altro “sonno”, che avviene già mentre viviamo: il sonno della tristezza e della disperazione.

I cristiani non sono come i pagani, non sono “ignoranti”, come scrive Paolo, perché sanno di non appartenere alla morte ma alla vita e da ciò nasce la loro speranza e quindi la loro gioia. Tristezza e disperazione sono vie più facili, quindi forse più allettanti, ma sono scorciatoie che conducono, già in vita, alla morte. La lunga strada della speranza va percorsa interamente anche quando suona come una “spes contra spem”.

Osservare la scena del mondo oggi, nell’aprile 2025, può destare sgomento, incertezza, paura; può far disperare. Ma proprio quando la situazione è disperata, buia, allora è il momento in cui sorge il sole della speranza. La sfida per il cristiano, colui che ha speranza, è quella che di continuare a vivere e raccontare storie di speranza. Una sfida che questo giornale insieme a tutti i media della Santa Sede affronta quotidianamente nella consapevolezza che già il gesto di raccontare una storia, anche se drammatica, contiene in sé un seme di speranza, la speranza di essere ascoltati, di poter comunicare, di creare comunione. Raccontare la speranza vuol dire anche esercitare il discernimento che distingue la speranza dall’ottimismo, altra scorciatoia mortale, come aveva intuito Václav Havel: «La speranza non è ottimismo, non è la convinzione che una cosa andrà bene, ma la certezza che una cosa ha senso, indipendentemente da come andrà a finire». E il senso della Storia, per un cristiano, è che Cristo è il Signore della Storia, che ha vinto la morte di fronte alla quale il cristiano può camminare a testa alta attraversando la paura e la tristezza. La Pasqua è la grande speranza del cristiano, da venti secoli, da quando Gesù è uscito dal sepolcro, fino ad oggi, 2025, anno del Giubileo della speranza.