· Città del Vaticano ·

La messa “in Coena Domini” celebrata dal cardinale Gambetti nella basilica Vaticana

In un mondo che tradisce per profitto scegliere
il potere del servizio

 In un mondo che tradisce per profitto  scegliere il potere del servizio  QUO-089
18 aprile 2025

di Edoardo Giribaldi

Il mondo troppo spesso «ci tradisce, ci consegna» per un tornaconto «economico e di potere». A questa logica — che arma i conflitti del nostro tempo — va contrapposto un nuovo «potere», insito nel «servire» e incarnato da Gesù, espressione concreta del «dinamismo della prossimità». È questa l’immagine consegnata dal cardinale arciprete Mauro Gambetti nella messa “in Coena Domini” del Giovedì santo, celebrata nella basilica Vaticana ieri pomeriggio, 17 aprile.

Insieme con il porporato, che ha contemplato anche il tradizionale rito della Lavanda dei piedi, hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Pietro Parolin, segretario di Stato, Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio, Leonardo Sandri, vicedecano, e Francis Arinze, dell’ordine dei vescovi. Per la Segreteria di Stato, erano anche gli arcivescovi Edgar Peña Parra, sostituto, e Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, con i monsignori Roberto Campisi, assessore, e Javier Domingo Fernández González, capo del Protocollo.

All’omelia Gambetti ha ricordato il termine ebraico da cui deriva la parola Pasqua, ovvero Pasach, traducibile in «saltare, proteggere». «Dio danza dinanzi alle case per proteggere gli anawim, gli umili, i poveri che confidano in lui, mentre la morte passa oltre», ha commentato. Anche la Pasqua di Gesù, ha notato l’arciprete, si è compiuta nella prova, tra «ingiustizie, vessazioni, calunnie, infermità, violenze, paura, solitudine». Eppure, in un contesto così buio, egli «desidera ardentemente alimentare l’intimità e la familiarità del focolaio domestico». Il suo cenacolo è un «mosaico» eterogeneo di umanità. I tratti dei discepoli, i più variegati: «impulsivi e passionali, riflessivi e profondi, ambiziosi e irruenti, sinceri e umili». Le caratteristiche comuni sono invece la sete di gloria, la debolezza, l’abilità nel nascondere le proprie fragilità. «Mi tocca profondamente questa determinazione di Gesù nel voler condividere il pane e il vino con tutti coloro che il Padre gli ha dato. È così umano, nella prova. E penso a quante occasioni io ho perso di essere così umano davanti alle fatiche della vita, impegnato nel cercare soluzioni o vie di fuga», ha confidato il celebrante.

Dalle Scritture, lo sguardo del porporato si è allargato al presente, non meno provato dai troppi «Giuda» che sottraggono «i valori, l’intelligenza, la coscienza, l’amore umano. Siamo tutti in vendita, sulla base di un rapporto costi-benefici, per un qualche profitto, economico e di potere», ha denunciato, mentre nei vari contesti del quotidiano, latita la «compassione». Il mondo «tradisce» in cerca di guadagni e anche le pratiche religiose rischiano di scivolare in questa logica, quando si piegano a «una qualche forma di gloria, un qualche bene materiale o un qualche potere: vendiamo la nostra fede». E di conseguenza, ha spiegato il cardinale «le guerre non sono altro che l’esito del declino, della concrezione dei conflitti e del male che è nel mondo. E quanti sono crocifissi, da tutto ciò!».

Il cenacolo evangelico non appare poi così lontano da quello delle famiglie dell’oggi. Emergono ancora «fragilità», «bassa autostima», «rabbia», ma anche «sete di libertà, di giustizia, di pace». Ma a incarnare l’antidoto alle piaghe dei tempi antichi e moderni è la figura di Gesù. Che, ha affermato l’arciprete, «non vuole vincere, essere applaudito, arricchirsi». Al contrario «la sola cosa che gli interessa è l’amore. Questo è l’unico sacerdozio. Lava i piedi, anche a Giuda. Mi lava i piedi. Ti lava i piedi. Vive il dinamismo della prossimità, reciproca, vive il verbo del donare e del ricevere, vive il potere di servire e l’impotenza dell’accogliere».

Chinandosi sui discepoli, il cuore di Gesù si fa «tutt’uno con la povertà umana e tutt’uno con la maestà divina», donando «vita» a «tutte le pecore del gregge», ha aggiunto Gambetti. Gesto che attraversa i secoli e continua a incarnarsi. Come in don Giuseppe Berardelli, il sacerdote bergamasco ricordato dal porporato, che durante la pandemia di Covid-19 morì per aver rinunciato al proprio respiratore affinché potesse essere usato da un’altra persona. «Il dono di sé per far vivere il popolo».

Il cardinale Gambetti ha concluso la sua riflessione auspicando un «tempo nuovo» per la Chiesa, in cui essa possa «rivelare la propria natura di popolo sacerdotale». Una rivoluzione che passa dal «divenire» eucarestia, imitando Gesù, mostrando «l’umanità divina che il battesimo ci ha conferito».

Nel corso della celebrazione, l’arciprete ha lavato i piedi a persone laiche, uomini e donne che frequentano o lavorano tra le navate della basilica di San Pietro. Persone come altre, ognuna con le proprie fragilità, simboli vivi di quel grande cenacolo di umanità evocato dal porporato nell’omelia. Dopo l’orazione finale, la processione guidata dal cardinale Gambetti ha accompagnato il Santissimo Sacramento nella cappella preparata per l’adorazione. Protrattasi fino alle 22, l’adorazione eucaristica ha perpetuato la tradizione della reposizione (comunemente nota come “i sepolcri”), per accogliere in altari appositamente allestiti le specie eucaristiche consacrate durante la messa “in Coena Domini” e conservarle sino al pomeriggio del Venerdì Santo, per poi distribuirle ai fedeli al termine della liturgia penitenziale.