
Sabato 12
Camminare |
Il Congresso Internazionale univ che state realizzando a Roma vi riunisce in questi giorni nella celebrazione di un duplice avvenimento giubilare: l’Anno Santo 2025 e il centenario dell’ordinazione sacerdotale di san Josemaría Escrivá. |
Quanti motivi per rendere grazie a Dio e continuare a camminare entusiasti nella fede, diligenti nella carità e perseveranti nella speranza!
Mi unisco alla vostra gioia e vi accompagno con la mia preghiera, chiedendo al Signore che questo tempo di pellegrinaggio e di incontro fraterno vi spinga a portare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, come annuncio della speranza che realizza le promesse, conduce alla gloria e, fondata sull’amore, non delude.
(Messaggio ai giovani dell’Opus Dei partecipanti al Congresso internazionale Univ 2025)
Domenica 13
L’abbraccio misericordioso |
Oggi, Domenica delle Palme, nel Vangelo abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore secondo Luca . |
Abbiamo sentito Gesù rivolgersi più volte al Padre: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà»; «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»; «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Indifeso e umiliato, l’abbiamo visto camminare verso la croce con i sentimenti e il cuore di un bambino aggrappato al collo del suo papà, fragile nella carne, ma forte nell’abbandono fiducioso, fino ad addormentarsi, nella morte, tra le sue braccia.
Sono sentimenti che la liturgia ci chiama a contemplare e a fare nostri.
Tutti abbiamo dolori, fisici o morali, e la fede ci aiuta a non cedere alla disperazione, non chiuderci nell’amarezza, ma ad affrontarli sentendoci avvolti, come Gesù, dall’abbraccio provvidente e misericordioso del Padre.
Gratitudine per le |
Vi ringrazio tanto per le vostre preghiere. In questo momento di debolezza fisica mi aiutano a sentire ancora di più la vicinanza, la compassione e la tenerezza di Dio. |
Anch’io prego per voi, e vi chiedo di affidare con me al Signore tutti i sofferenti, specialmente chi è colpito dalla guerra, dalla povertà o dai disastri naturali.
In particolare, Dio accolga nella sua pace le vittime del crollo di un locale a Santo Domingo, e conforti i loro familiari.
Il pensiero |
Il 15 aprile ricorre il secondo triste anniversario dell’inizio del conflitto in Sudan, con migliaia di morti e milioni di famiglie costrette ad abbandonare le proprie case. |
La sofferenza dei bambini, delle donne e delle persone vulnerabili grida al cielo e ci implora di agire.
Rinnovo il mio appello alle parti coinvolte, affinché pongano fine alle violenze e intraprendano percorsi di dialogo, e alla Comunità internazionale, perché non manchino gli aiuti essenziali alle popolazioni.
Gli appelli |
Ricordiamo anche il Libano, dove cinquant’anni fa cominciò la tragica guerra civile: con l’aiuto di Dio possa vivere in pace e prosperità. |
Venga finalmente la pace nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sud Sudan.
Maria, Madre Addolorata, ci ottenga questa grazia e ci aiuti a vivere con fede la Settimana Santa.
(Angelus)
Mercoledì 16
La speranza nella porta sempre aperta |
Dopo aver meditato sugli incontri di Gesù con alcuni personaggi del Vangelo, vorrei fermarmi, a cominciare da questa catechesi, su alcune parabole. |
Sono racconti che riprendono immagini e situazioni della realtà quotidiana, per questo toccano anche la nostra vita.
Ci provocano e ci chiedono di prendere posizione: dove sono io in questo racconto?
Partiamo dalla parabola più famosa, quella che tutti noi ricordiamo forse da quando eravamo piccoli: la parabola del padre e dei due figli.
In essa troviamo il cuore del Vangelo di Gesù, cioè la misericordia di Dio.
L’evangelista Luca dice che Gesù racconta questa parabola per i farisei e gli scribi, i quali mormoravano per il fatto che Lui mangiava con i peccatori.
Per questo si potrebbe dire che è una parabola rivolta a coloro che si sono persi, ma non lo sanno e giudicano gli altri.
Il Vangelo vuole consegnarci un messaggio di speranza, perché ci dice che dovunque ci siamo persi, in qualunque modo ci siamo persi, Dio viene sempre a cercarci!
Ci siamo persi forse come una pecora, uscita dal sentiero per brucare l’erba, o rimasta indietro per la stanchezza.
O forse ci siamo persi come una moneta, che magari è caduta per terra e non si trova più, oppure qualcuno l’ha messa da qualche parte e non ricorda dove.
Oppure ci siamo persi come i due figli di questo padre.
Il più giovane perché si è stancato di stare dentro una relazione che sentiva come troppo esigente; ma anche il maggiore si è perso, perché non basta rimanere a casa se nel cuore ci sono orgoglio e rancore.
Si vive |
L’amore è sempre un impegno, c’è sempre qualcosa che dobbiamo perdere per andare incontro all’altro. |
Ma il figlio minore della parabola pensa solo a sé stesso, come accade in certe fasi dell’infanzia e dell’adolescenza.
In realtà, intorno a noi vediamo anche tanti adulti così, che non riescono a portare avanti una relazione perché sono egoisti.
Si illudono di ritrovare sé stessi e invece si perdono, perché solo quando viviamo per qualcuno viviamo veramente.
Questo figlio più giovane, come tutti noi, ha fame di affetto, vuole essere voluto bene.
L’amore è un dono prezioso, va trattato con cura; egli invece lo sperpera, si svende, non si rispetta, e se ne accorge nei tempi di carestia, quando nessuno si cura di lui.
Il rischio è che in quei momenti ci mettiamo a elemosinare l’affetto e ci attacchiamo al primo padrone che capita.
Sono queste esperienze che fanno nascere dentro di noi la convinzione distorta di poter stare in una relazione solo da servi, come se dovessimo espiare una colpa o come se non potesse esistere l’amore vero.
Dio libera |
Il figlio minore, quando ha toccato il fondo, pensa di tornare a casa del padre per raccogliere da terra qualche briciola d’affetto. |
Solo chi ci vuole veramente bene può liberarci da questa visione falsa dell’amore.
Nella relazione con Dio facciamo proprio questa esperienza.
Il grande pittore Rembrandt, in un famoso dipinto, ha rappresentato in maniera meravigliosa il ritorno del figlio prodigo.
Mi colpiscono soprattutto due particolari: la testa del giovane è rasata, come quella di un penitente, ma sembra anche la testa di un bambino, perché questo figlio sta nascendo di nuovo.
E le mani del padre: una maschile e l’altra femminile, per descrivere la forza e la tenerezza nell’abbraccio del perdono.
Ma è il figlio maggiore che rappresenta coloro per i quali la parabola viene raccontata: è il figlio che è sempre rimasto a casa con il padre, eppure era distante da lui, distante nel cuore.
Questo figlio forse avrebbe voluto andarsene anche lui, ma per timore o per dovere è rimasto lì, in quella relazione.
Quando però ti adatti contro voglia, cominci a covare rabbia dentro di te, e prima o poi questa rabbia esplode.
Paradossalmente, è proprio il figlio maggiore che alla fine rischia di rimanere fuori di casa, perché non condivide la gioia del padre.
Un padre |
Il padre esce anche incontro a lui. Non lo rimprovera e non lo richiama al dovere, vuole solo che senta il suo amore. |
Lo invita a entrare e lascia la porta aperta. Quella porta rimane aperta anche per noi.
È questo il motivo della speranza: possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta.
(Catechesi preparata
per l’udienza generale)