Alla scuola del Cenacolo

di Beatrice Guarrera
Un invito a mettersi «alla scuola del Cenacolo», «per imparare da Gesù lo stile del discepolo, per provare a essere anche noi, in questo nostro mondo, strumenti di salvezza». Lo ha rivolto il patriarca di Gerusalemme dei Latini il cardinale Pierbattista Pizzaballa ai fedeli riuniti nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dove i riti della messa crismale e della messa in Coena Domini si sono svolti al mattino, per rispettare le norme dello Status quo.
«La prima cosa che si impara nel Cenacolo — ha detto Pizzaballa — è una consapevolezza», come quella dell’ora delle tenebre di Gesù che, però, sapeva di non essere stato abbandonato dal Padre: «Ecco: io vorrei che noi riuscissimo a vivere così il nostro presente, così buio e complicato — ha spiegato —. In questo Giubileo della speranza, noi riconosciamo con rinnovata certezza che Dio è con noi e apre nel deserto strade misteriose al Regno che viene. Chiedo per me e per voi al Signore che l’olio dei catecumeni risvegli nella nostra Chiesa questa capacità profetica», ha auspicato, «per stare nella realtà con quel “di più” di visione che ci viene dalla fiducia in Dio e dalla speranza del Regno».
La seconda cosa che si impara nel Cenacolo è «alzarsi, decidere», ha detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini. In questo nostro tempo che «è affamato», di libertà, giustizia, dignità e che in alcune parti del territorio «è affamato anche letteralmente», bisogna guardare a Gesù come modello. «Noi crediamo e oggi in questa solenne liturgia affermiamo nuovamente — ha aggiunto Pizzaballa — che vogliamo costruire la nostra vita sulla roccia di Cristo, e fare nostro il suo invito a seguirlo, a fare nostri i suoi stessi sentimenti. Non ci basta il pane terreno, abbiamo bisogno di quel pane di vita, affinché rinnovi in noi il desiderio di vita, ci doni la gioia di continuare a servire, ad offrire, spezzare le nostre vite con amore, senza paura». Per far questo c’è bisogno «di persone che, come Gesù, siano disposte a pagare di persona — ha detto il patriarca —. Ha bisogno del nostro cuore, del nostro dono di sé, della nostra capacità a saper perdere tutto, finanche la vita, perché il mondo conosca la vita vera, incontri la giustizia e l’amore veri, la libertà dalle logiche umane e di potere, che hanno la loro fonte solo in Dio». Nel Cenacolo si impara, inoltre, a consolare: «Consolare è decidere di restare insieme, nonostante tutto. La Risurrezione altro non è che questa decisione finalmente vittoriosa». Con un riferimento particolare ai sacerdoti della diocesi presenti e radunati nel Santo Sepolcro, ha auspicato che «l’olio degli infermi consoli le nostre ferite, ci faccia superare la paura del male e della morte e ci incoraggi a restare a fianco della nostra gente e in questa nostra terra con una fedeltà più forte delle difficoltà». «Non permettiamo — ha concluso Pizzaballa — alla paura e alla rassegnazione di rallentare o fermare la corsa del Vangelo nella nostra Terra! Continuiamo con gioia a distribuire a tutti il pane della vita! Insistiamo a costruire tra noi e con tutti rapporti di relazioni fraterne e legami di comunione! Non c’è notte che l’amore non possa illuminare, non c’è fallimento che la Croce non possa trasformare, non c’è ferita che la Pasqua non possa trasfigurare!».
Il patriarca Pizzaballa ha poi compiuto il tradizionale rito della lavanda dei piedi davanti al Santo Sepolcro. Un rito che, in mattinata, si è svolto anche all’esterno della basilica per i fedeli della chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme, in questo anno particolare, in cui la data della Pasqua coincide per i diversi cristiani.
In tempo di guerra e di difficoltà economiche, gli occhi del mondo saranno puntati sulla Terra Santa domani, per la Colletta del Venerdì santo, che, grazie alle offerte raccolte nelle chiese di tutto il mondo, dà sostentamento ogni anno alla presenza cristiana. «Sarà anche grazie a voi e alla vostra generosità — ha scritto in un messaggio il custode di Terra Santa padre Francesco Patton — che saremo in grado di prenderci ancora cura dei luoghi santi e farne luoghi di preghiera, essere accoglienti verso i fedeli locali e verso i pellegrini, mettere in campo opere educative come le scuole, opere sociali come ambulatori e dispensari, case per anziani e per le giovani famiglie, opere di promozione umana come l’accoglienza di lavoratori migranti, sfollati e rifugiati».