Nel volto di Gesù

di Nicola Nicoletti
«Il corteo dei bambini avanza rapido, perché sono tanti e non possiamo arrivare in chiesa tardi». Doña Clara come ogni anno mette in fila i piccoli studenti della Hernando de Tovar, la scuola che in Messico, a Parras, un comune di 45mila abitanti dello stato di Coahuila, raccoglie centinaia di studenti. La donna, delegata dalla parrocchia per la cerimonia della Via Crucis, controlla che abbiano i vestiti giusti. Gesù, il centurione, le pie donne e i soldati romani. Un corteo che si chiude con la folle “armata” da rami di palme e di ulivo. Anche se siamo agli inizi di aprile, il sole picchia forte nel pomeriggio sui bambini che, dall’asilo alle elementari, scalpitano per iniziare la processione. Dietro, in ordine sparso, i genitori dei ragazzini si riparano dal sole con gli ombrelli e cappelli bianchi a falde larghe: marceranno per il corso principale chiuso al traffico prima di entrare nella parrocchia di Santa Maria.
In pomeriggio si prepara un altro corteo, quello degli adulti. «Comienza la semana mayor, domingo de ramos y bendición de las palmas», “Inizia la settimana maggiore, la Settimana Santa, con la Domenica delle Palme e la benedizione dei ramoscelli”, spiega Lalo Cerezero, maestro di scuola e valido chitarrista della Rondalla, la formazione musicale che nel triduo pasquale suonerà nelle celebrazioni liturgiche.
Presso la parrocchia dedicata alla Madonna le persone sono impazienti. Per le popolazioni del Messico questa settimana è di un’intensità spirituale straordinaria. Un rito che arriva dritto dalla Spagna, quando nel xvi secolo, con i francescani al centro e i gesuiti al nord del Paese, i missionari giunsero portando dalla madre patria i riti della Passione a quella che all’epoca chiamavano la Nueva España. Sono quei territori che nel versante nord dell’America, oggi tra Stati Uniti e Messico, finirono sotto la corona dei re spagnoli. Ieri come oggi la Semana Santa rivive con intensità immutata. Un mix di sofferenza, fede e tradizione. Una radice che, nonostante il passare dei secoli, rimane presente nelle menti e nei cuori dei latinos. Lungo tutta la vertebra montuosa, che dalla California corre sino all’area del Pacifico, i riti pasquali sono il cuore di una settimana fatta di processioni e canti. Teatrale, quasi cinematografica a Città del Messico, semplice e povera, ma pur sempre partecipata, quelle nei villaggi della costa o delle periferie delle numerose metropoli.
Il Venerdì Santo la processione con le statue della Madonna e del Cristo morto sono accolte da una folla lunghissima. «Si rivivono i drammi di ieri e di oggi», commenta il parroco di Santa Maria, padre Oscar Rodriguez. In quel volto di Gesù rigato dal sangue, i messicani rivedono le sofferenze del Paese, dei poveri emarginati delle periferie, delle donne abusate, dei migranti ricacciati alla frontiera non lontano da qui, dove si alza quel muro sempre più vigilato da soldati ed elicotteri che separa il Messico dagli Usa. La statua della Madonna è seguita da donne e ragazze che vivono la realtà di un presente insicuro, soprattutto per loro.
I canti accompagnati dalle chitarre sono un inno alla speranza. Nelle cittadine un trio o un quartetto con violini e il chitarrone, sono le voci musicali di una tradizione pervicace. Sul selciato o nella polvere dei villaggi i cortei della Settimana Santa richiamano tutti. Folclore, tradizione, ma anche tanta fede è custodita da donne e uomini di questa terra. Non mancano i fiori, l’entrata di Gesù a Gerusalemme, oltre ai rami di ulivo, prevede anche la gentilezza delle margherite e dei nastrini colorati, un invito alla preghiera ma anche alla speranza, che presto, dopo la Passione, arrivi la gioia della liberazione dalla morte del Cristo Risorto.