· Città del Vaticano ·

Il 10 aprile di cent’anni fa usciva «Il grande Gatsby»

Quelle note stonate del jazz

 Quelle note stonate del jazz  QUO-079
07 aprile 2025

di Gabriele Nicolò

Le utopie più ottimistiche e le delusioni più spietate caratterizzarono, negli Stati Uniti, la cosiddetta “età del jazz”, ovvero gli anni Venti del Novecento. Era un mondo popolato di voci e di gesti legati a personaggi belli e dannati, con troppo denaro nelle tasche e con troppo tempo a disposizione per spenderlo: un mondo che, nella sua deriva, lede il suono, al contempo ruvido e vellutato, del jazz, rendendo stonate gran parte delle note dello spartito. È in questo scenario, al contempo suggestivo e inquietante, che s’inscrive il capolavoro di Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby: veniva pubblicato il 10 aprile di cent’anni fa.

La trama è semplicissima. Il protagonista, miliardario, cerca di riconquistare Daisy, la sua ex donna. Intorno a questo tentativo, intriso di disperato romanticismo, ruota un microcosmo in cui convergono le tradizionali dinamiche del vivere collettivo: dalla sfrenata ambizione all’onestà, dal cinismo alla solidarietà, dalla corruzione all’eroismo.

Questi valori e contro-valori non sono, nello sviluppo del romanzo, tra loro separati. Ne consegue una sovrapposizione che finisce per inquinare la dimensione positiva ed edificante dell’essere umano e per nobilitarne e riscattarne gli aspetti nocivi ed equivoci. Da questo guazzabuglio la penna di Fitzgerald attinge la giusta dose di veleno per scagliare una critica corrosiva contro la cultura contemporanea, da lui sentita come «polverosa», «insensibile» e «parruccona».

Gatsby è divorato dall’ossessione di ripristinare il passato. A chi gli contesta questa possibilità, seccato ed ostinato, replica: «Sì certo che si può!». E così impiegherà le sue migliori energie per realizzare la solenne promessa fatta a sé stesso: «Io metterò tutte le cose come erano prima». Ma non aveva fatto i conti con un universo, tanto gretto e volgare — a dispetto della sua facciata fascinosa e sfarzosa — da negligere le aspirazioni e le tensioni più alte custodite nell’animo umano. E anche se, in virtù di un guizzo repentino, dovesse prenderne atto, tale universo rimarrebbe pur sempre indifferente, continuando a procedere imperterrito per la sua strada e lasciando dietro di sé le spoglie di un eroismo ideale destinato a evaporare in un inclemente oblio.

L’inesausto e inesaudito desiderio del protagonista di ritornare alle radici, per vivificarle di nuovo, trova un’esemplificazione iconica nella celebre chiusa del romanzo. «Così — scrive Fitzgerald — continuiamo a remare, barche controcorrente, respinti senza posa nel passato». Gatsby sembra essere sempre sul punto di raggiungere il suo sogno, «ma non sapeva che il suo sogno era già alle sue spalle».

Non appena fu pubblicato, il romanzo fu acclamato dalla critica. Il poeta inglese Thomas Stearns Eliot dichiarò che Il grande Gatsby rappresentava «il primo passo fatto dalla narrativa americana dopo Henry James». Eliot aveva apprezzato, in particolare, la capacità di Fitzgerald di denunciare l’ottusità immaginativa, la volgarità morale e la brutalità cinica dei ricchi in contrapposizione alla raffinatezza, solo in superficie, del loro stile di vita. Questo tema, osserva la scrittrice e traduttrice Fernanda Pivano, è svolto da Fitzgerald «con un misto di sfiducia e di ammirazione, di perplessità e di invidia». Intorno alla ricchezza lo scrittore creò una sorta di mitologia che finì per investire la sua vita privata. In una lettera, divenuta celebre, affermava che non poteva vivere a Great Neck (località situata nello Stato di New York) con meno di 36.000 dollari all’anno e che doveva scrivere per guadagnarli. Era dunque disposto, pur di raggiungere lo scopo, a vergare «un mucchio di brutti racconti» che lo annoiavano e lo deprimevano.

Come contraltare a questo «mucchio» si stagliano e s’impongono, scrive la Pivano, «le pagine preziose e pure come diamanti» de Il grande Gatsby, un romanzo il cui pregevole valore si misura sulla verità dei personaggi e sull’onestà dell’immaginazione.