· Città del Vaticano ·

Intervista al camilliano padre Ange Désir, in servizio all’ospedale San Giovanni Addolorata

Pronto soccorso dello spirito

 Pronto soccorso  dello spirito  QUO-077
04 aprile 2025

di Antonio Tarallo

Il suono assordante delle sirene spiegate. Frastuono. E poi momenti, interminabili, di silenzio. E poi di nuovo le sirene. Rumore, frastuono. Camici bianchi che corrono, velocemente. I parenti alla soglia di quella porta con la croce rossa ben in vista, si dispongono vicino a questa, in attesa di notizie. È il pronto soccorso di un ospedale. Qui avviene, molto spesso, la battaglia tra la vita e la morte: è una terra di confine. Siamo all’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma. A pochi passi sorge un luogo, meta di altra tipologia di pellegrinaggio, la basilica papale di San Giovanni e, vicino, la Scala Santa. Mentre un’umanità orante varca la Porta Santa, altra umanità varca la porta di un ospedale, altro luogo di preghiera a suo modo. Lo sa bene padre Ange Désiré Ouedraogo, religioso camilliano, che presta il suo servizio presso l’ospedale romano: «Il pronto soccorso è il primo luogo in cui tutti vengono accolti. Da lì inizia il percorso o per andare in un altro reparto, o per andare in day-hospital, o per tornare a casa nel momento in cui non c’è più l’emergenza. Un luogo dove a volte sembra molto difficile parlare di speranza». In questi metri quadrati aleggiano domande, riflessioni, silenzi. Padre Ouedraogo racconta: «Le famiglie che si trovano qui davanti, davanti a questa porta, sono molto pensierose. Si chiedono: “hanno preso in carico mio figlio”? “il mio familiare”? Loro sono nella condizione di non poter entrare. Sono lì con tanti pensieri. Così come il malato che entra si chiede: “se mi hanno portato qui, allora, è molto grave”? Allo stesso modo, anche i medici. Tutti si chiedono qualcosa». In questo scenario, fra questi camici bianchi, ecco una talare nera farsi largo: è un altra croce rossa — questa volta di altra natura — a essere ben in vista. Si tratta di emergenza dello spirito. È lui, padre Ange Désiré Ouedraogo. Davanti a lui, si aprono diverse situazioni che pongono domande perché — continua il padre camilliano — ci troviamo «di fronte alla fragilità umana. La prima cosa da fare è pregare lì con loro, ma soprattutto stare, essere presenti». Si avvicina alle famiglie, allora. Cerca di stare con loro in attesa del riscontro dei medici: il pronto soccorso è memoria e spazio in sospensione. In un’attesa in cui tutto si arresta. E comincia la battaglia. Ma attorno a questo scenario come è possibile trovare la speranza? È questo il quesito fondamentale. Ancora una volta le labbra di padre Ouedraogo pronunciano la parola presenza: «Mi ricordo il libro, Il piccolo principe, al capitolo 21, quando la volpe chiede di essere suo amico. Inizia un dialogo fra loro che porta la volpe a dire: “Oggi gli uomini hanno un mercato per tutto, ma non c’è un mercato per gli amici”. Ecco, quando io vado in questo luogo provo a essere prima di tutto amico del malato. Tutto inizia con il saluto. Mi metto accanto all’altro. Risiede in ciò la prima speranza. Dalla presenza, allora, è possibile che l’ammalato si apra a un dialogo». Un dialogo che molto spesso deve anche affrontare il delicato tema della morte. In questi casi si apre, allora, quello squarcio, quella fessura, della misericordia di Dio che è l’unzione degli infermi, sacramento troppo spesso dimenticato. I ricordi del padre camilliano diventano nitidi, solcano l’animo. Lo si comprende dalle parole che usa per descrivere questi momenti: «Dobbiamo saper parlare anche della morte a un ammalato che è qui e ci sta lasciando. Non ci sono tante parole, in questi casi. Eppure la morte è la fine naturale di ogni uomo. Rimane il momento più importante della nostra esistenza: il momento in cui ricapitoliamo tutta la nostra vita, ma è anche un momento in cui ci prepariamo ad un incontro. Il credente sa che è un incontro con Dio. Molte persone che non credono lo definiscono: un incontro con lo sconosciuto. A volte vogliamo ragionare sulla morte. Ma la fede già ci dà le risposte su questo tema perché Cristo ha vinto la morte e ci ha aperto questo passaggio. A un malato in fase terminale non parlo della morte direttamente. A ciò ci pensano i medici. Piuttosto, la nostra, diviene una presenza di preghiera: pregare con loro, pregare per loro. Un modo per dire: non siete soli». Padre Ange è accanto a loro, accanto ai familiari, per sconfiggere la loro solitudine. E lui, in questa così speciale comunione, sentirsi anche lui meno solo. Si trovano insieme i due amici, la volpe e il principe, con lo sguardo rivolto al cielo. Diamantato di stelle.