Curare i sofferenti

di Federico Piana
È parafrasando il noto detto africano secondo il quale invece di dare un pesce ad un bambino è meglio insegnargli a pescare che Alessandro Galvani sintetizza il manifesto ideale ed operativo dell’organizzazione di cooperazione internazionale “Ummi: salute, formazione e sviluppo” che presiede ormai da più di 30 anni: «Il nostro compito non è solo andare a curare le malattie ma anche quello di formare uomini e donne in modo tale che queste operazioni di cura possano, un giorno, svolgerle loro stessi in completa autonomia, non dipendendo più da nessuno».
Una regola d’oro non sempre facile da applicare in quei contesti estremamente poveri, sperduti e dimenticati che sono diventati gli orizzonti d’azione nei quali l’Ummi ormai opera da decenni con un fervore così grande che si comprende fino in fondo solo leggendo per esteso il suo acronimo: Ummi sta a significare Unione medico missionaria italiana è fu fondata nel 1933 a Verona da don Diodato Desenzani, prete diocesano, primo collaboratore di don Giovanni Calabria, il santo soccorritore dei fanciulli, degli orfani, degli ammalati e degli anziani, elevato agli onori degli altari da Giovanni Paolo II nel 1988.
Negli anni ’30 del secolo scorso, racconta Galvani in una conversazione con «L’Osservatore Romano», era impensabile per la società e la Chiesa dell’epoca che i laici potessero avere un ruolo diretto nelle missioni e quindi l’opera iniziale dell’Ummi era incentrata soprattutto sull’invio di materiale sanitario ai sacerdoti impegnati nelle terre più difficili e lontane. «Tutto questo durò fino al 1970 quando iniziarono a partire anche i medici laici: uno spartiacque che dette il via al volontariato a lungo termine che negli anni si ampliò in maniera esponenziale».
Anche se proprio in quel periodo fu decisa una modifica del nome non scrivendo più per esteso l’acronimo e aggiungendo la dicitura “salute, formazione e sviluppo” per non escludere dalla partecipazione alle sue attività di volontariato tutte le figure non mediche che gravitano intorno alla professione della cura, l’organizzazione non ha mai reciso il legame con la missionarietà della Chiesa: «Come recita il nostro statuto, noi ci poniamo a fianco dei missionari cercando, con la nostra professionalità, di rafforzare la loro presenza nei posti dove si trovano. Normalmente, non lavoriamo negli ospedali pubblici nazionali ma operiamo in quelli missionari anche se otteniamo dei riconoscimenti governativi ed agiamo secondo le linee guida delle autorità locali».
In Brasile l’Ummi è presente nella zona di Marituba in Parà, uno degli Stati più poveri nella nazione dell’America meridionale, dove è stato creato un nosocomio che serve un’area che comprende ben 115 comuni: «In questa struttura — spiega Galvani — noi facciamo soprattutto attività di ammodernamento delle attrezzature mediche e formazione. Sempre in Brasile, in questo caso nel nord-est, abbiamo intrapreso un’attività sanitaria educativa territoriale di base».
In Angola l’Ummi ha aiutato la nascita di uno degli ospedali più all’avanguardia di tutto il Paese africano: «Oltre ad avere le specialità tipiche di un centro sanitario di medie dimensioni il suo personale è molto impegnato sulle emergenze di salute pubblica più impellenti in questo momento come malaria, tubercolosi, Hiv e malnutrizione. Alcuni anni fa è stato visitato anche dal nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella».
Con l’associazione delle missionarie rogazioniste in Rwanda, Galvani rivela che i membri della sua organizzazione umanitaria hanno intrapreso una collaborazione per tutelare le ragazze vittime di violenza che vengono anche formate e aiutate a trovare un lavoro. «Ma noi — aggiunge — siamo presenti anche in Asia. In India abbiamo avviato progetti per la tutela delle donne ed il loro inserimento sociale mentre in tre località diverse stiamo dando un grande supporto a delle attività formative e didattiche. Per l’attuale contesto, svolgere attività sanitaria in India è molto complicato quindi per ora ci concentriamo su altri ambiti di intervento».
I volontari dell’Ummi non hanno tralasciato nemmeno di portare il loro aiuto a Manila, capitale delle Filippine. In questa megalopoli moderna di oltre 12 milioni di abitanti si nascondono sacche enormi di estrema povertà che tutti fanno finta di non vedere: «Nella zona in cui operiamo ci sono 200.000 abitanti e il nostro piccolo ospedale cerca di rispondere a tutte le esigenze possibili. È un segno della provvidenza per queste persone che altrimenti non potrebbero essere curate».
Cosa spinge molti di questi uomini e queste donne a dedicare parte della propria esistenza a curare ed assistere gli altri in giro per il mondo, alcune volte mettendo a rischio anche la propria vita, lo prova a spiegare lo stesso Galvani: «Ci sono due motivazioni. La prima è di natura umana: quella di voler far comprendere, a sé stessi e agli altri, che superare gli ostacoli apparentemente insormontabili in maniera positiva è possibile. L’altra motivazione è di tipo spirituale: rendere visibile nella società l’azione della paternità divina e quella della fratellanza umana».