Quell’invito a resistere

di Ibrahim Faltas
«Coraggio, abbiate coraggio, continuate a resistere e a custodire i Luoghi Santi. Io prego per voi»: le parole di Giovanni Paolo ii risuonano ancora nella mia mente come durante quella telefonata inaspettata di quel giorno di aprile del 2002. La domenica precedente, il Santo Padre all’Angelus aveva ricordato «quanti soffrono in Terra Santa» aggiungendo: «A tutti assicuro la mia solidarietà spirituale e umana».
L’assedio alla basilica della Natività di Betlemme era iniziato nel pomeriggio del 2 aprile mentre riposavo nella mia cella del convento. Venni svegliato da un gran trambusto che saliva dalla basilica. Scesi giù di corsa. Parlo arabo e i miei confratelli francescani chiedevano sempre a me di intervenire nelle situazioni complesse che spesso si creavano in quella città, che a dispetto delle sue origini, era divenuta un crocevia di scontri fra gli occupanti israeliani e la parte resistente della popolazione. L’esercito israeliano era entrato fin nel centro della città di Betlemme e 240 palestinesi, alcuni miliziani delle organizzazioni resistenti e molti giovani che si trovavano sulla piazza della Mangiatoia, si erano rifugiati nelle tre navate della basilica della Natività.
L’esercito israeliano aveva circondato la basilica, minacciando di entrare. Non potevo imporre ai palestinesi di uscire: sarebbero andati incontro ad un probabile massacro.
La situazione, già così difficile, stava entrando in una fase di trattative complesse che non facevano pensare ad una conclusione a breve termine e, soprattutto, positiva. Le parole del Papa all’Angelus domenicale ci avevano aperto il cuore alla speranza: il Santo Padre pregava per la Terra Santa, che aveva visitato due anni prima, e aveva coinvolto le diplomazie per favorire la conclusione positiva di un assedio che mai si era verificato in un luogo santo. Quella mattina era iniziata con notizie di scontri all’esterno e con la disperazione all’interno della basilica. Bisognava mantenere la calma e cercavo di placare l’agitazione di chi voleva uscire ma dovevo impedire altre perdite umane: già due ragazzi palestinesi erano stati uccisi dai cecchini che circondavano la basilica. Altri sei moriranno all’interno della basilica nei giorni dell’assedio.
Alle tre squillò il mio cellulare: da Roma mi chiamava il patriarca di Gerusalemme dei latini Michel Sabbah, che mi diceva che il Papa voleva parlarmi! La voce dall’accento polacco era inconfondibile. Emozione, incredulità, gioia sono i sentimenti che ancora oggi ricordo con la stessa intensità. «Coraggio, il Signore è con voi, non abbiate paura!». Che incoraggiamento! Che stimolo a proseguire nella missione di custodi dei Luoghi Santi! Quella vicinanza tenera e paterna ci aiutava ad essere ancora e sempre mediatori di pace! Quella telefonata cambiò tutto, a cominciare dalla mia determinazione: il Papa era con noi! Quella telefonata ha evitato il massacro di tante vite, ha salvato le nostre vite, ne sono certo. Finito l’assedio corsi a Roma a ringraziarlo.
L’assedio è durato 39 giorni e ogni giorno con puntualità e partecipazione «L’Osservatore Romano» lo ha documentato in prima pagina.
Tre anni più tardi, sempre il 2 aprile, con il nunzio apostolico a Gerusalemme, l’arcivescovo Pietro Sambi, decidemmo di organizzare una grande festa di popolo per ringraziare Dio di aver protetto la città de Principe della Pace. Monsignor Sambi desiderava una festa che fosse anche un monito per il mondo sull’inviolabilità dei luoghi sacri. Ma la sera del 2 aprile 2005 la festa non si tenne perché il Santo Padre ci lasciò proprio in quella data così significativa per Betlemme e la festa si trasformò in una grande processione nella basilica della Natività con la partecipazione di tanti betlemiti che si riunirono per ricordare nella preghiera il Papa, padre e amico che proprio quella sera aveva raggiunto la Gloria dei santi.
Ogni 2 aprile non posso non pensarci con commozione.