
di Alfredo Maria Paladini, O.F.M.Cap.
Torniamo ai nostri servizi consapevoli dell’importanza di ampliare e rendere più profondo quello sguardo contemplativo verso il prossimo per farci ancora di più araldi di perdono per speranza come bisogno universale. E nello sguardo contemplativo, nel nostro ministero di confessori, è racchiuso quell’incoraggiamento rivoltoci da Papa Francesco «ad essere attenti nell’ascoltare, pronti nell’accogliere e costanti nell’accompagnare coloro che desiderano rinnovare la propria vita e ritornano al Signore».
Ho vissuto il messaggio di Papa Francesco — scritto ai Missionari della Misericordia nella solennità di san Giuseppe e letto dall’arcivescovo Rino Fisichella sabato mattina, 29 marzo, nei Giardini vaticani davanti alla Grotta di Lourdes, per quanti hanno partecipato al pellegrinaggio giubilare a Roma —, come una meravigliosa rappresentazione di un atto di amore, cura e attenzione nei nostri riguardi. Lo status quaestionis del Giubileo è che la speranza non delude, e noi Missionari della Misericordia viviamo tutto questo come un laboratorio di riconciliazione e rinascimento grazie al perdono. Il perdono, per esperienza provata, è la forma più alta in assoluto di amore.
Per Papa Francesco e anche per noi Missionari della Misericordia, la speranza e la misericordia sono esattamente la stessa cosa. C’è un’unione sponsale. E quindi, come Missionari della Misericordia dobbiamo esser pronti a dar la vita per una misura più alta.
La chiave, da questo punto di vista, sta nel considerarci tutti peccatori, ma perdonati.
Noi abbiamo questo compito nel nostro ministero di confessori appunto, di essere attenti nell’ascolto, pronti nell’accoglienza e costanti nell’accompagnamento di donare, suscitare, sprigionare vita. Questo è anche il senso del Giubileo, una sorta di anno sabbatico che deve insegnarci, nessuno escluso, a respirare la vita. E allora se respiriamo la vita comprendiamo la speranza come una virtù teologale che non si insegna, si vive.
La lettera racconta anche di un altro aspetto: la fonte di speranza, che è la misericordia. E l’etimologia stessa ce lo dice: accogliere Dio in primis, che accoglie nel suo cuore infinito tutte le nostre miserie. Sicuramente tra i primi beneficiari di questa misericordia, paradossalmente ci sono i Missionari della Misericordia. Ho sempre pensato a noi missionari come una forza di grandi peccatori che hanno toccato anche il fondo degli inferi e che poi, in virtù della sovrabbondanza di grazia che Dio elargisce ad ognuno di noi, provano l’incontro con la luce, la resurrezione.
E allora il sacramento della riconciliazione è un rinascimento grazie proprio al perdono. E la posta in gioco è altissima, perché è in gioco la pace del cuore.
Quindi la speranza è camminare assieme, reimparare a guardarci, ad ascoltarci, ad accoglierci, ad accompagnare. La vita stessa passa da questo camminare, con la bussola del Vangelo come riferimento. E speranza e misericordia, insieme alla benevolenza, sono quasi dei punti cardinali, in qualche modo.
Spesso in carcere sono proprio le persone che hanno commesso efferatezze tra le più terribili a essere incapaci di perdonare sé stesse. Qualora incontrano il Signore diventano raffinatissime e avvertono profondamente come il cammino penitenziale purifichi la memoria, purifichi le relazioni.
E penso alla via Crucis. È una scienza crucis e ci insegna tutto. Dove siamo noi, in quale stazione siamo? Speriamo nell’undicesima stazione insieme al buon ladrone, che è il primo santo ante litteram della Chiesa. E cosa dice a Gesù: «Ricordati di me quando sarai in paradiso, nel tuo Regno». Gesù gli risponde: «In verità ti dico: oggi tu sarai con me in paradiso».
L’intento di Papa Francesco in questa lettera è anche quello di risvegliare in noi la capacità, anche compromettendosi, di dare dei segni. Una cosa molto esperienziale nel programma del nostro Giubileo è stata la “24 ore per il Signore”. Abbiamo confessato, ed è stato meraviglioso. Tutte le volte sperimento questa cosa, frutto dello Spirito Santo: nel momento in cui sono il confessore che accoglie nel sacramento della riconciliazione, non ho mai un dubbio nel senso linguistico. Può venire un cinese, può venire chiunque. Perché la forza del sacramento è un segno immenso, infinito di amore.
Noi dobbiamo reimparare a interpretare la vita con più semplicità con perfetta letizia e soprattutto fare attenzione perché c’è il buon ladrone ma ci sono anche i cattivi ladroni, quelli che rubano il tempo.
Il nostro compito come Missionari della Misericordia è di portare Dio, aiutare a essere generosi con gli ultimi e oggi siamo tutti quanti gli ultimi. Sono un fan di don Chisciotte, di Cervantes, che celebrava le sconfitte come vittoria. E allora se la persona ha l’umiltà di dire «sono io che devo chiedere perdono per primo», si può uscire dallo smarrimento, dall’inumanità.
Bisogna dare senso e un significato esatto alla nostra gioiosa sopravvivenza sul pianeta Terra. Questo implica un atteggiamento del cuore, fedeltà al Vangelo, impegno per il bene comune. E unire sempre e non dividere come il nemico che gioca sullo sconforto e ci allontana dal gioco gioioso, da quella teologia del buonumore.
Nelle confessioni, infine, insisto molto sul riappropriarci del grande silenzio. Il silenzio predispone già alla guarigione, alla preghiera, e ci fa far pace. Non è tempo perso, è un tempo favorevole.
Il testo pontificio ci trasforma in persone capaci di tenerezza e suona anche come testamento spirituale. Per cui ci rivedo un po’ il testamento di Francesco e soprattutto mi fa, come dire, giocare un po’ col prisma dei ricordi, perché abbiamo festeggiato dieci anni, dalla nostra istituzione nel 2015 con la bolla Misericordiae vultus, e poi nel 2016 abbiamo avuto il Giubileo della Misericordia. Ma nella trama della memoria forse sono anche più di dieci anni, praticamente da tutto il pontificato di Papa Francesco.