· Città del Vaticano ·

Vent’anni fa la morte di san Giovanni Paolo II
La messa nella basilica Vaticana presieduta dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin

Pellegrino instancabile
della speranza e della pace

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02 aprile 2025

di Isabella Piro

La «grande missione ecclesiale e storica» di san Giovanni Paolo ii è stata quella di «introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio» ed egli vi si è impegnato «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le sue forze nei ventisei anni del suo immenso pontificato», come «pellegrino instancabile» del Vangelo «fino agli angoli più lontani del pianeta», nonché servitore infaticabile della pace. Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, racchiude tra queste parole il significato della vita e del pontificato di Papa Wojtyła, nell’omelia pronunciata nel primo pomeriggio di oggi, mercoledì 2 aprile, all’altare della Confessione nella basilica Vaticana, in occasione della messa per il xx anniversario della morte del Pontefice polacco.

Numerosi i fedeli convenuti da varie parti del mondo, tra i quali anche circa duecento giunti da Cracovia — di cui Giovanni Paolo ii fu prima vescovo ausiliare e poi arcivescovo fino all’elezione al pontificato —, alcuni in abiti tradizionali, guidati dal cardinale Stanisław Dziwisz, a lungo segretario particolare di Wojtyła e attuale arcivescovo emerito della città. Il porporato ha concelebrato insieme con Parolin e con una trentina di cardinali e altrettanti presuli; tra i primi Giovanni Battista Re, decano del Collegio, e Leonardo Sandri, vice-decano (che all’epoca da arcivescovo sostituto della Segreteria di Stato annunciò al mondo la morte del Pontefice); tra i secondi, gli arcivescovi Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, e Tadeusz Wojda, presidente dell’episcopato polacco. Hanno partecipato al rito, animato dai canti della Cappella Giulia, anche la presidente del Consiglio dei ministri italiano Giorgia Meloni, una delegazione del Governo polacco, ambasciatori di molti Paesi accreditati presso la Santa Sede e diverse autorità vaticane.

Commozione, ma anche gratitudine e gioia accompagnano la celebrazione, scandita da molti ricordi, quasi istantanee di «quei giorni di venti anni fa»: all’omelia il cardinale Parolin, all’epoca sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, cita la Via Crucis al Colosseo, il 25 marzo 2005, Venerdì Santo, «accompagnata dall’immagine del Papa abbracciato alla croce nella sua cappella»; l’apparizione del Pontefice «ormai senza parole» alla finestra del Palazzo apostolico, due giorni dopo, per la benedizione pasquale; l’attesa del suo incontro con il Signore, «compiuto quando si era fatta sera», il 2 aprile 2005, vigilia della domenica della Divina misericordia. E poi «le folle» venute a Roma con «incontenibile affetto» per porgere il loro «ultimo congedo terreno» a un grande Pastore che, nella sua «prolungata malattia», era stato «solidale con la sofferenza del mondo».

A tutte queste immagini il cardinale Parolin offre una chiave di lettura, riprendendo il Trittico romano, l’ultima composizione poetica di Giovanni Paolo ii nella quale l’intera realtà è contemplata come «una visione di Dio, il Primo Vedente». In questo senso, sottolinea il porporato, la vita e la missione di Papa Wojtyła si sono svolte «in totale, continua trasparenza dinanzi agli occhi di Dio» ed è da questo fondamento che sono derivati «lo straordinario coraggio e la costanza della testimonianza di fede» offerti dal Pontefice polacco in ventisei anni di «immenso pontificato», condotto come «pellegrino instancabile fino ai confini della terra per portarvi l’annuncio del Vangelo».

Non manca, nell’omelia del cardinale segretario di Stato, il ricordo dell’attentato subito dal Pontefice in piazza San Pietro il 13 maggio 1981 e la sua consapevolezza di come Dio, «unico Signore della vita e della morte», lo avesse salvato. Indimenticabile, poi, l’immagine di Giovanni Paolo ii che apre la Porta Santa della basilica Vaticana il 24 dicembre 1999, dando inizio al Grande giubileo del 2000, il primo del Terzo Millennio. Le parole pronunciate allora dal Pontefice, spiega il porporato, e in particolare il suo invito alla Chiesa affinché «riprendesse il largo con fiducia», riecheggiano ancora nel Giubileo attuale che «ci vede “Chiesa in uscita”, navigatori in acque agitate, ma pur sempre pellegrini di speranza».

Il segretario di Stato fa memoria anche della partecipazione di Wojtyła al Concilio Vaticano ii, vissuto come vescovo con «gratitudine e fierezza» e divenuta per lui «bussola di orientamento nel servizio pastorale universale, per la Chiesa e l’umanità intera». Non a caso, uno delle parole del Concilio che egli usava più spesso era proprio «Cristo» ed è per questo che «poteva esclamare con forza impressionante», sin dall’inizio del suo pontificato, il 22 ottobre 1978, «Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!», perché solo Lui «sa che cosa è nell’uomo» e solo Lui «ha parole di vita eterna».

Da questa solida convinzione, prosegue il cardinale Parolin, derivano «l’autorità e la fermezza» con cui Giovanni Paolo ii poteva richiamare alle loro responsabilità popoli e governanti, esortandoli alla «difesa della giustizia, della dignità delle persone umane, della pace». Su quest’ultimo punto, il segretario di Stato si sofferma, guardando «con gratitudine e ammirazione l’instancabile servizio della pace» di Papa Wojtyła, «i suoi moniti appassionati, le iniziative diplomatiche per cercare fino all’ultimo di scongiurare le guerre». Molti suoi appelli, lanciati «fino ai tempi estremi della sua vita», aggiunge il porporato, restarono purtroppo inascoltati, «come avviene ai grandi profeti»; ma la sua testimonianza e la sua fedeltà a Dio rimangono solide e vive ancora oggi, rappresentando un punto di riferimento costante nel tentativo di «ricostruire continuamente la pace» nelle e tra le nazioni, affinché «abbia di nuovo senso parlare di “famiglia dei popoli”».

Infine, il segretario di Stato ricorda le esequie del Pontefice polacco presiedute l’8 aprile 2005 sul sagrato della basilica Vaticana dal cardinale Joseph Ratzinger, allora decano del Collegio cardinalizio e poi successore dello stesso Wojtyła. In particolare, Parolin rimarca «la certezza del popolo sulla santità del Papa defunto», nonché le parole con cui il futuro Benedetto xvi si rivolse direttamente a lui, «affacciato alla finestra della casa del Padre: «Ci benedica, Santo Padre!». La medesima invocazione il segretario di Stato la fa sua oggi, concludendo l’omelia con la preghiera a Giovanni Paolo ii affinché benedica la Chiesa «pellegrina di speranza», benedica «questa umanità lacerata e disorientata, perché ritrovi la via della sua dignità» e conosca «la ricchezza della misericordia e dell’amore di Dio».


Il ricordo del cardinale  Stanisław Dziwisz 
che fu a lungo segretario particolare di Wojtyła

Si è fatto vicino al cuore di milioni di persone


«Sono passati vent’anni da quel giorno e la Chiesa conserva ancora il ricordo commosso di un pastore venuto a Roma “da un Paese lontano”, ma che, dopo un lungo pontificato, a cavallo tra il secondo e il terzo millennio della cristianità si è fatto vicino al cuore di milioni di fedeli in tutto il mondo». Con commozione il cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia, a lungo segretario particolare di Wojtyła, ha rievocato all’inizio del rito quel 2 aprile 2005, vigilia della festa della Divina misericordia, in cui «si concludeva la fase della vita terrena e del pontificato di Giovanni Paolo ii». Le sue parole sono riecheggiate nella  basilica vaticana, in occasione della messa celebrata dal cardinale Parolin, che il porporato polacco ha ringraziato «per aver accettato di presiedere l’Eucaristia di ringraziamento al Signore. Il nostro cuore si stringe al Santo Padre Francesco — ha aggiunto Dziwisz —. Sappiamo che in questa ora si unisce spiritualmente a noi. Preghiamo per la sua salute, che il Signore gli dia la forza necessaria per guidare la Chiesa pellegrina in questo Anno giubilare all’insegna della speranza, in questi tempi difficili per la Chiesa e per il mondo». 

Il cardinale ha spiegato come Giovanni Paolo ii scrivesse «di non sapere quando sarebbe arrivata “l’ultima chiamata”, ma di volersi “affidare interamente alla volontà del Signore. Esprimeva anche la fiducia che Cristo avrebbe reso la sua morte “utile per la causa più importante alla quale cerco di servire: la salvezza degli uomini, la salvaguardia della famiglia umana, e in essa di tutte le nazioni e dei popoli». E attualizzando la riflessione ha quindi aggiunto che «oggi sappiamo quando il libro della vita di Giovanni Paolo ii è stato chiuso. Siamo anche consapevoli di quanto frutto porti la sua santità. Crediamo fermamente che — come disse il cardinale Joseph Ratzinger il giorno del suo funerale — il santo “Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice” (8 aprile 2005)».