In Myanmar un oceano

Nayipydaw, 31. Mentre tra enormi difficoltà, e tra continue scosse di assestamento, proseguono nel Myanmar centrale le operazioni di soccorso dopo il devastante terremoto di venerdì scorso, la giunta militare al potere nel Paese asiatico ha proclamato una settimana di lutto nazionale. Lo ha reso noto oggi il presidente del Consiglio amministrativo statale, generale Min Aung Hlaing.
Il sisma, di magnitudo 7.7 sulla scala Richter, ha finora provocato 2.028 morti accertati, ma si teme un bilancio pesantissimo, in quello che gli esperti prospettano come un oceano di morte e distruzione. Sono infatti centinaia — se non migliaia — le persone ancora intrappolate tra le macerie, in un contesto di devastazione e con i bisogni che aumentano di ora in ora. Il terremoto ha distrutto edifici, abbattuto ponti e divelto strade in ampie zone del Myanmar centrale, ma con maggiore intensità nella piana del fiume Irrawaddy, che è attraversata da nord a sud dalla faglia tettonica di Sagaing. A Mandalay, la storica capitale pre-coloniale e oggi seconda città del Paese con circa 1,7 milioni di abitanti, i soccorritori hanno tratto in salvo diverse persone.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che il terremoto è «un’emergenza di massima gravità» e per questo sono necessari con urgenza 8 milioni di dollari per salvare vite umane e prevenire epidemie nei prossimi 30 giorni. L’elevato numero di vittime e di traumi, ha sottolineato l’Oms, comporta infatti un concreto elevato rischio di infezioni e malattie a causa della limitata capacità sanitaria e chirurgica del Paese. In una nota, l’Oms ha classificato la crisi come emergenza di grado 3, il livello di attivazione più alto nell’ambito del suo “Quadro di risposta alle emergenze”.
I soccorsi sono ostacolati anche dalla ripresa dell’offensiva contro i ribelli da parte della giunta militare, nonostante sabato avesse richiesto l’aiuto internazionale. I raid aerei dell’aviazione governativa, ha accusato un funzionario delle Nazioni Unite impegnato nella difficile macchina dei soccorsi internazionali, hanno colpito ampie zone dello Stato nord-orientale di Shan, una delle province ribellatasi in armi contro il regime dei generali, che il primo febbraio del 2021 hanno preso il potere defenestrando il governo democraticamente eletto e arrestando il capo dello Stato, Win Myint, e il ministro degli Esteri e consigliere dello Stato, il premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi. L’attacco nel Shan ha provocato almeno 7 morti.
Poche ore dopo il terribile sisma, il Governo di unità nazionale — nato dalle ceneri del partito democratico di Suu Kyi, alleato contro la giunta militare con alcune milizie etniche del Paese asiatico — ha dichiarato unilateralmente una tregua parziale di due settimane, proprio per agevolare i soccorsi.
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di Giada Aquilino